domenica 15 ottobre 2017

New York Basketball Stories 2.0: Dollar Bill Bradley



Bradley veniva da un piccolo paese del Missouri, Crystal City, figlio del banchiere locale e di una ex giocatrice dai gusti raffinati che raddoppiava gli impegni scolastici del figlio con lezioni di musica, di lingue straniere, di sport improbabili. Il piccolo Bill era un prodigio a scuola e un giocatore di basket sorprendente. Non aveva talento atletico e non superò i 195 centimetri di statura. A livello professionistico sarebbe stato considerato piccolo e lento. Ma negli anni di Crystal City si allenava senza soluzione di continuità. Non si concedeva un minuto di riposo, di sosta, di svago. Bill Bradley contro il canestro, anche di notte, senza luci, perché migliorava il suo fiuto per il canestro. Lavorava sul palleggio usando occhiali che gli impedissero di guardare il pallone mentre cambiava mano. Passeggiava accanto alle vetrine dei negozi e senza voltare la testa cercava di memorizzare tutto quello che vedeva. Poi tornava indietro per capire cosa gli fosse sfuggito. Allenava la visione periferica.

Quando venne il momento di scegliere il college, era combattuto tra una scelta sportiva e una accademica. Duke poteva essere la soluzione ideale e la annunciò. Cambiò idea alla vigilia dell’anno scolastico deviando su Princeton dove le borse di studio sportive non erano e non sono ammesse. Non voleva che la passione per il basket compromettesse gli impegni accademici. Giocò alla grande anche a Princeton, da senior fu nominato MVP di un torneo al Garden di New York in cui Princeton fu sconfitta in finale da Michigan. Red Holzman era presente e vide Bradley “abusare” degli avversari, compreso Cazzie Russell – stella dei Wolverines -, poi commise il quinto fallo e dovette dare il via libera agli avversari. Russell assunse il controllo della gara e portò Michigan al successo. I due si sarebbero ritrovati alla Final Four NCAA di Portland. Michigan vinse 93-76 ma Bradley segnò 29 punti. Nella finalina per il terzo posto (allora si giocava, oggi non più) contro Wichita State, Bradley segnò 58 punti: sono ancora oggi record assoluto per una partita delle Final Four. Come lo sono gli 87 punti che segnò in due gare o i 22 canestri della partita contro Wichita State.
Nei draft del 1965 i Knicks riuscirono a prendere Bradley con un extra-pick. La NBA all’epoca aveva bisogno di attirare pubblico, le attenzioni dei media, anche a costo di piegare qualche norma. Per questa esistevano i “pick territoriali” in cui una squadra aveva il diritto di prendere un giocatore che avesse frequentato il college entro un raggio di 75 miglia dalla propria sede. I Knicks litigarono con Philadelphia per Bradley (Princeton è nel New Jersey: fossero esistiti i Nets a quei tempi…) ed ebbero la meglio probabilmente perché New York era più vitale per la NBA di quanto lo fosse Philadelphia. Il tutto per un giocatore che aveva già annunciato l’intenzione di non giocare a basket a livello professionistico, giudicato troppo impuro per un uomo della sua dirittura morale. E poi era identificato come “La Grande Speranza Bianca” in una lega sempre più nera: la sua vita privata era già allora oggetto di interesse morboso. Disse che si sarebbe trasferito in Inghilterra per studiare a Oxford due anni: gli sarebbe servito per la sua futura carriera politica. I Knicks lo sapevano ma decisero di correre il rischio. Avrebbero aspettato due anni prima di assegnargli la maglia numero 24. Nel primo di quei due anni Bradley giocò nel Simmenthal Milano solo le partite della Coppa dei Campioni, praticamente senza allenarsi. La vinse nella finale di Bologna del 1966. Ma l’esperienza non venne replicata l’anno seguente.
Bradley somigliava ad un ex giocatore quando per passare il tempo decise di andare ad eseguire qualche tiro nella palestra di Oxford. All’improvviso sentì rinascere dentro la voglia di giocare. Tre settimane dopo, nel ristorante Mama Leone’s di Manhattan, i Knicks presentarono il “Messia”. La stampa lo soprannominò “Dollar Bill” quando trapelò che il suo contratto valeva 125.000 dollari a stagione. Ma quando arrivò a New York trovò in squadra… Cazzie Russell.

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