domenica 20 agosto 2017

NBA Finals 1996: Toni Kukoc

Nel 1990, i Los Angeles Lakers scelsero alla fine del primo giro il serbo Vlade Divac. Jerry Krause non lo prese perché non sapeva bene chi fosse e quanto valesse. Decise che da quel momento avrebbe iniziato a seguire il mercato europeo come meritava e non gli sarebbe più sfuggito nessuno. “Se in Europa ci sarà un altro Divac lo troverò e lo porterò a Chicago”, giurò a sé stesso. L’innamoramento di Krause per Kukoc cominciò allora e gli creò non pochi problemi con Scottie Pippen, che chiedeva un nuovo contratto e vedeva i Bulls spendere soldi ed energie per inseguire la “Croatian Sensation”. “Ho un sogno – confessò Krause – Toni in mezzo a portare palla e Jordan e Pippen ai suoi fianchi”. Quando Kukoc arrivò in America invece Jordan si ritirò e i Bulls smisero di essere la squadra che Toni pensava di trovare. In compenso ebbe subito più spazio del previsto.
 
Nel 1996 vinse il premio riservato al miglior sesto uomo della stagione. Il suo rapporto con Phil Jackson era però delicato. “Il fatto è che Toni è affetto dalla sindrome del giocatore europeo – disse Krause -, tende a mancare di intensità in partita e in allenamento specie quando è in difesa, così va continuamente stimolato”. E’ quello che faceva Jackson riprendendolo quando sottovalutava un possesso di palla concedendo canestri facili o esitando al tiro. Jackson gli rimproverava di non avere la mentalità del giocatore che dà tutto in ogni partita arrivando a sostenere che giocasse con maggiore aggressività quando sapeva che la partita sarebbe stata vista in televisione in Croazia. 
Quando Krause stava cercando di convincerlo a giocare per i Bulls rinunciando a Treviso, chiese a Jordan di fargli una telefonata sperando potesse essere un’arma decisiva. “Non parlo lo slavo”, fu la raggelante risposta di Michael che nella vicenda si era schierato con Pippen. Nel 1992 alle Olimpiadi, la prima volta che il Dream Team incontrò la Croazia, nella prima fase del torneo, gli americani ebbero come obiettivo quello di ridicolizzarlo, riservandogli un trattamento difensivo speciale. Ma anziché abbattersi, Toni capì che era invece il momento di andare nella NBA. Nessuno, dopo le sue prime partite ai Bulls, ebbe più dubbi sulla legittimità della sua presenza, ma gara 1 della Finale del 1996, ancor più del titolo di miglior sesto uomo, lo incoronò come uomo adatto alle partite più importanti anche se nello spogliatoio continuava ad essere il pupillo di Krause e, come tale, non del tutto accettato dal resto della squadra.


 
 

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