venerdì 19 agosto 2016

La straordinaria parabola di Manu Ginobili


Il ritiro di Manu Ginobili dalla nazionale argentina era ovviamente scontato. Ginobili ha 39 anni e una lunghissima carriera alle spalle con stagioni NBA estremamente impegnative con cinque viaggi in Finale e per ognuno di essi un centinaio di partite annuali. L'anagrafe non fa sconti. In questi giorni abbiamo avuto un saggio dei tributi che riceverà giustamente nel giorno del ritiro vero quando probabilmente la sua maglia numero 20 verrà ritirata dai San Antonio Spurs.
Ci sono diversi flash della carriera di Ginobili che meritano qualche riflessione. Arrivò alla Virtus Bologna come ripiego nel 2000. Ettore Messina voleva Andrea Meneghin, più esperto e testato. Meneghin preferì la Fortitudo e Ginobili fu il premio di consolazione anche se aveva già fatto molto bene a Reggio Calabria. In quella stagione Ginobili avrebbe dovuto fare il cambio di Sasha Danilovic o comunque prenderne il posto gradualmente. Ma al ritorno dalle Olimpiadi di Sydney, Danilovic decise di ritirarsi a soli 30 anni. Questo spalancò le porte a Ginobili. Non dico che se ci fosse stato Danilovic entro fine stagione non sarebbe diventato comunque il Ginobili dominatore della stagione ma magari il percorso sarebbe stato più tortuoso. Danilovic era esaurito fisicamente ma era sempre Danilovic e a Bologna persino oggi molti pensano sia stato più grande di Manu. Almeno a Bologna.
Ginobili fu scelto nei draft del 1999 quando San Antonio aveva appena vinto il suo primo titolo NBA. Tutto quello che voleva era prendere un giocatore che non sarebbe andato in America perché Gregg Popovich non voleva toccare la chimica vincente. Ginobili seppe di essere stato scelto dal suo agente un paio di giorni dopo e gli Spurs non sapevano cosa avessero in mano.
Nel 2002 Ginobili volò in America dopo i Mondiali in cui giocò e perse una grande Finale a Indianapolis contro la Jugoslavia (che era di fatto la Serbia ma poteva ancora schierare i montenegrini e i macedoni). Aveva una caviglia malconcia. Problemi alle caviglie l'avrebbero perseguitato per un po' di tempo nella sua stagione da rookie che chiuse vincendo il primo titolo. Ginobili partiva dalla panchina. Curiosamente mentre da noi era noto per le qualità offensive, la creatività, in America si impose prima da giocatore difensivo. Era aggressivo, sfacciato e dotato di grandi istinti. Quando volò nella NBA ci si chiedeva se sarebbe stato un giocatore migliore lui o Marko Jaric. Per quanto Jaric abbia avuto una discreta carriera NBA ovviamente la risposta è scontata da moltissimi anni.
Il miglior Ginobili penso sia stato quello del 2005. Aveva appena vinto l'oro ad Atene, era affermato e ben pagato in America e dopo tre anni anche compreso meglio. Una volta RC Buford, il general manager degli Spurs, mi disse che gli arbitri non capivano Manu. Ma per un po' nemmeno Popovich l'ha capito del tutto e tentato di arginarne gli istinti spericolati. Erano i tempi in cui portava i capelli lunghi sulle spalle. Svolazzanti. Qualche avversario diceva che traessero in inganno gli arbitri sui contatti. Andavano in ogni direzione. Lo ricordo a cena con la famiglia, il padre allenatore, i fratelli giocatori a Detroit. Era dimagrito, esausto e quella serie di finale di sfiancante. San Antonio perse gara 6 in casa ma vinse gara 7. Tim Duncan fu nominato MVP ma non all'unanimità. Fu una split-decision. Penso che avrebbero dovuto dare il premio a Ginobili.
Nelle scorse settimane aveva ricevuto una proposta importante da Philadelphia ma ha rifiutato e rinnovato con San Antonio. Lo doveva lui agli Spurs e lo dovevano gli Spurs a lui. Ginobili finirà una carriera incredibile a San Antonio. È giusto e bello che sia così.

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