Karl Malone è nato a
Summerfield, in Louisiana, un paesino di poche centinaia di abitanti. Il padre
lasciò la famiglia quando Karl aveva solo quattro anni. Dal 1967 al 1975 mamma
Shirley, un donnone con i capelli bianchi che somigliava a Karl in modo
sconcertante, ha lavorato ogni minuto della propria vita per mantenere la
famiglia. Nel ’75 sposò il proprietario di un magazzino a trenta chilometri da
Summerfield, un certo Ed Turner. I ritmi di lavoro avrebbero potuto
ammorbidirsi ma Shirley non era il tipo di donna che resta a casa. Scelse di
lavorare alle dipendenze del marito. Tre anni dopo il padre biologico di Karl
morì per un tumore osseo. Solo come un cane, negli ultimi giorni di vita fu
confortato proprio da Shirley (sarebbe morta nel 2003 prima dell’ultima
stagione agonistica di Malone, ai Lakers) che pure avrebbe avuto tutte le
ragioni del mondo per ignorarlo. Ma Shirley, oltre a un’etica lavorativa
eccezionale, oltre allo spirito di sacrificio, era anche una donna di grande
generosità. Tutte queste qualità vennero trasmesse integralmente a Karl. Ecco
perché la sua è stata una carriera lunghissima, ecco perché, passati da un
pezzo i 30 anni, ha continuato a progredire, ecco perché in carriera
praticamente si contano sulle dita di una mano le partite saltate da Malone per
infortunio. Era così orgoglioso, che quando era infortunato ma giocava lo
stesso si rifiutava persino di parlarne. Successe anche nella Finale del 1997
quando giocò con la mano destra lacerata, perennemente fasciata.
Karl frequentò la
Summerfield High School, come dire che giocava nel bel mezzo del nulla. Anche
per questo non fu reclutato dai maggiori college del paese. Si accorse di lui
solo Louisiana Tech, ma siccome non aveva buoni voti dovette pagarsi la retta
del primo anno, mettersi a posto accademicamente e ricevere una borsa di studio
solo l’anno seguente. Giocò due grandi annate a Tech e fece anche parte del
gruppone di giocatori che nel 1984 vennero selezionati da Bobby Knight per le
Olimpiadi di Los Angeles. Nel 1985 fu scelto con il numero 13 da Utah e pianse
perché sperava di andare a Dallas, il posto più vicino a casa che ci fosse nella
NBA di allora. Quando arrivò ai Jazz era un muscolare che non poteva mettere
dentro un tiro libero ma già allora era un lavoratore infaticabile. Malone
corresse i propri difetti e si trasformò rapidamente in una stella.
Frank Layden, dopo
essersi accorto di quale giocatore avesse tra le mani, cedette Adrian Dantley,
un veterano come un’etica lavorativa discutibile che all’aggressivo rookie
consigliava di limitare i tuffi e di risparmiarsi per durare più a lungo.
Malone diventò il leader, il faro della squadra, guadagnandosi il credito per
far parte del Dream Team americano sia a Barcellona nel 1992 che ad Atlanta nel
1996. Nel 1997 fu nominato MVP della Lega, titolo che gli sarebbe stato
assegnato prima… se Michael Jordan non fosse mai esistito.
Finalmente debuttò sul
palcoscenico della Finale. Ma gara 1 rappresentò uno sgradevole risveglio. Utah
comandò la partita per gran parte del suo svolgimento ma senza riuscire a
chiuderla. Sull’ultimo possesso di palla dei Jazz, Rodman fece fallo su Malone.
Karl andò in lunetta sull’82 pari. Pippen gli si avvicinò per dirgli che “i
postini non consegnano la domenica” riferendosi al giorno in cui si giocava la
partita e al suo soprannome, “The Mailman”, il postino. Per l’ala dei Jazz fu
un’amara profezia quella di Pippen, perché Malone sbagliò entrambi i tiri. I
Bulls lavorarono l’ultima palla e la indirizzarono verso Jordan. Questi,
marcato da Bryon Russell, il miglior difensore perimetrale dei Jazz, fintò la
penetrazione e poi raccolse la palla per far partire il tiro in sospensione
della vittoria. Perché Jerry Sloan non decise di raddoppiare Jordan per
obbligare un altro giocatore dei Bulls a prendersi quel tiro resta un mistero,
ma tutti dopo parlarono soprattutto della differenza tra un “vero” MVP quale
era Jordan e Malone. Improvvisamente, la pressione su Karl diventò enorme.
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