martedì 28 febbraio 2017

Golden Times: il suicidio professionale di Mark Jackson


Darren Erman era un avvocato con la passione per il basket. Quando si laureò e cominciò a lavorare, non riusciva a star fermo, soprattutto non riusciva a stare lontano dal basket, e fece da assistente volontario – gratis, significa – alla St.Anthony’s High School di Jersey City, sotto Bobby Hurley sr, uno dei più grandi coach liceali di tutti i tempi. Quando si trasferì a Boston, sempre per lavoro, fece lo stesso al Brandeis College che però era anche il posto dove i Celtics si allenavano. Fu così che conobbe Brian Scalabrine, all’epoca giocatore volenteroso, non di talento, dei Celtics. Scalabrine lo presentò ai suoi allenatori e dopo poco Erman cominciò ad aiutare Tom Thibodeau, il primo assistente di Doc Rivers, specializzandosi nello scouting e nel lavoro individuale sui giocatori. Fece abbastanza bene da conquistarsi un posto minore nello staff dei Celtics. Quando Mark Jackson diventò capo allenatore a Golden State gli consigliarono di portarsi dietro Erman. Il fatto che Joe Lacob sapesse chi fosse grazie al suo passato a Boston di certo non lo penalizzò.

Ma la scalata di Erman si arrestò bruscamente verso la fine della stagione 2013/14. Improvvisamente, i Warriors annunciarono di aver licenziato Erman nel cuore della regular season per aver violato il codice di comportamento aziendale. Jackson non lo sapeva ma fu il chiodo sulla bara della sua esperienza ai Warriors.
Erman aveva segretamente registrato il contenuto di alcuni meeting dello staff tecnico. Jackson sospettava lo stesse spiando, di sicuro la pratica non era né elegante né opportuna. Pare che Erman volesse documentare quanto veniva pronunciato sul conto suo e probabilmente dell’amico Scalabrine che dopo 11 anni da giocatore nel 2013 era stato chiamato ai Warriors appunto da Jackson. 
“Dopo una partita con San Antonio, ci fu un meeting durissimo – avrebbe raccontato proprio Scalabrine – e gli Spurs erano la squadra che seguivo io come scout. Sono cose che succedono spesso, ma una discussione su un particolare accorgimento, la posizione che doveva occupare Andrew Bogut, si trasformò in un bombardamento. Jackson chiese a tutti i membri dello staff cosa pensassero di me, se ero un bravo allenatore o meno, una brava persona o meno. Tutti erano in difficoltà e nessuno si oppose. Allora Jackson chiamò Bob Myers e Kirk Lacob e rifece tutto daccapo. Ad un certo punto mi trovai solo contro tutti. Chiesi di riparlarne a mente fredda. Ma tre o quattro giorni dopo, Jackson mi ricevette nel suo ufficio e sostanzialmente mi sbatté fuori. Venni riassegnato a Santa Cruz, la squadra della D-League”.
I Warriors sostennero Jackson in quel momento, come avevano fatto quando – perso Mike Malone, che diventò capo allenatore a Sacramento – aveva deciso di promuovere Erman piuttosto che assumere un nuovo assistente esperto come gli suggerivano. Non avevano scelta. Ma la situazione era diventata appunto tossica. Poco dopo Jackson fece fuori anche Erman, poi chiese che Jerry West non presenziasse agli allenamenti della squadra, un gesto forte e antipatico anche se West è sempre stato il primo a riconoscere il peso della sua presenza ingombrante tanto che persino Phil Jackson ai Lakers aveva chiesto lo stesso (e West se n’era andato dai Lakers in parte per questo motivo). 

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