lunedì 11 luglio 2016

La dinastia degli Spurs di Duncan nacque da un infortunio


Era la stagione 1996-97. Gregg Popovich era il general manager dei San Antonio Spurs. Pensate a cosa è oggi Popovich e togliete il 90%. Popovich era un ex assistente allenatore che aveva lavorato per Larry Brown a San Antonio e Don Nelson a Golden State reinventandosi general manager. Gli Spurs avevano rinunciato al mal di testa Dennis Rodman trasformando i Bulls in una squadra imbattibile senza ricavarne alcun beneficio. Nella stagione 1996-97 vinsero appena 20 partite, il coach Bob Hill - quello che era stato a Bologna - fu licenziato dopo 18 gare di cui 15 perse. Popovich si autonominò capo allenatore ma fece 17-47. Sui media venne aspramente criticato. Il licenziamento di Hill venne considerato un atto di opportunismo e irriconoscenza. Ma la verità è che gli Spurs vinsero 20 partite perché David Robinson era infortunato e ne giocò appena 6. Sean Elliott ne giocò meno della metà. Erano i due migliori giocatori della squadra.

Quella stagione da 20 vittorie consentì
agli Spurs di andare in Lotteria, vincerla e selezionare da Wake Forest con il numerp 1 Tim Duncan. È incredibile quanto la casualità nella NBA faccia la storia. Questa è una Lega che comincia per ogni singolo giocatore con una forte componente di aleatorietà ovvero il draft che adesso è moltiplicata dalla Lotteria ovvero dalle palline da ping pong. Nel 1997 Rick Pitino lasciò Kentucky per i Boston Celtics perché avevano più chance di chiunque di vincere la Lotteria e quindi Duncan. Ora pensate a cosa sarebbe successo se Robinson ed Elliort avessero giocato le loro classiche 75 gare: San Antonio non avrebbe mai preso Duncan, forse Hill non sarebbe stato licenziato e Popovich non sarebbe diventato Popovich. Di sicuro gli Spurs non avrebbero mai vinto cinque titoli. E oggi non sarebbero comsiderati necessariamente la miglior organizzazione della NBA. Duncan non è stato solo uno dei primi 10 giocatori della storia ma anche un'eccezione. Solo una volta ha esplorato il mercato da free-agent. Andò fino a Orlando, si fece intrattenere dopodiché se ne tornò a casa e non avrebbe più neppure fatto finta di potersene andare (i Magic presero Grant Hill e Tracy McGrady). Fosse andato a Boston, forse Rick Pitino sarebbe diventato il più grande allenatore della storia. Fosse andato altrove sarebbe certamente cambiata la storia della Lega. Ma andò a San Antonio. Robinson ed Elliott si infortunarono nel momento giusto, Popovich colse l'attimo e la fortuna fece il resto.

Tim Duncan ha giocato tutta la carriera a San Antonio, ha vinto cinque titoli, tre da MVP. Si parla tanto dei Big Three ma il primo titolo gli Spurs lo vinsero nel 1999 con le Twin Towers, Duncan e Robinson. Il secondo titolo lo vinsero con Tony Parker e Manu Ginobili. Ma l'argentino partiva dalla panchina e Parker aveva ancora difetti tali che gli Spurs tentarono di convincere Jason Kidd a fare come nel 2016 avrebbe fatto Kevin Durant: lasciare una squadra fortissima per rendere imbattibile una squadra ancora più forte. Non lo convinsero. Parker superò l'onta e gli Spurs diventarono davvero la squadra dei Big Three.

C'è un'altra cosa da dire di Duncan: ha giocato quattro anni a Wake Forest. Pochi anni dopo non sarebbe successo. Adesso non lo fa nessuno. Troppi soldi, troppa pressione. Gli Spurs si trovarono per le mani una star matura, pronto per recitare subito una parte importante. A San Antonio ha vinto 1072 partite contro 438 sconfitte. È stato allenato da un solo coach, Gregg Popovich appunto. È stato incredibile nell'adattarsi a tutto. Con Robinson e lui gli Spurs riempivano l'area e in attacco erano una squadra interna. Quando Robinson si è ritirato dopo il titolo del 2003 lui è rimbalzato spesso dalla posizione di ala forte e quella di centro tradizionale. Sarebbe sbagliato dire che ha lasciato al top perché non lo era ma ha vinto il titolo nel 2014 a 38 anni e 67 partite di regular season nel 2016 a 40. Ironicamente si è ritirato insieme a Kobe Bryant ma giocando fino alla fine per vincere e - secondo costume - senza annunciarlo prima, senza tour e saluti. È stato Tim Duncan fino alla fine.

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