martedì 28 marzo 2017

Continuità, coaching e Kawhi Leonard tra i segreti degli Spurs

La continuità e il coaching - Gregg Popovich è stato allenatore e di fatto il leader della franchigia per tutta la durata dell'era Duncan. In questi venti anni gli Spurs hanno affinato la loro organizzazione ed efficacia. Laddove Duncan era stato preso con un colpo di audacia e fortuna, le successive star sono arrivate grazie alla qualità dello scouting e la programmazione.
Ma Kawhi Leonard che nelle parole di Popovich vale quanto i più grandi giocatori della storia è stato preso con il numero 15 del draft, un diritto di scelta ottenuto scambiando a Indiana un buon giocatore come George Hill (scambio a posteriori tra i più sbilanciati della storia).
Nei ventuno anni alla guida della franchigia, Popovich ha avuto come braccio operativo RC Buford, due volte manager dell'anno. La continuità ha permesso di costruire un'identità. Solo che lo stile di gioco si è evoluto con gli anni e il personale a disposizione. Questo è stato il grande merito di Popovich. San Antonio ha vinto con le Twin Towers, con la brutalità di Bruce Bowen e poi si è evoluta attorno alla creatività di Parker e soprattutto di Ginobili per finire con le due straordinarie dimensioni di Leonard, il miglior attaccante tra tutti i grandi difensori della Lega o il miglior difensore tra tutti i grandi attaccanti.
Altro inciso: solo Michael Jordan e Hakeem Olajuwon sono stati difensori dell'anno e MVP della Finale, oltre a Leonard.
Kawhi - nato come difensore ed evolutosi come tiratore dagli angoli - adesso è uno strepitoso attaccante di pick and roll, un passatore di qualità, senza aver perso nulla delle sue doti difensive, quelle che costringono gli avversari a rinunciare ai giochi per l'attaccante marcato da lui. Come succede nel football quando gli attacchi non lanciano mai la palla dove difende un cornerback insuperabile tipo Deion Sanders una volta e Darrell Revis adesso.
Tanti giocatori hanno vissuto a San Antonio le loro stagioni migliori ma pochi hanno lasciato il club. Gli Spurs non perdono le loro stelle e non le scambiano. E in questi anni sono stati implacabili nella scelta dei comprimari. Come erano i Lakers di Jerry West (vedi acquisizioni di Bob McAdoo, AC Green, Mychal Thompson), i Bulls di Jerry Krause che costrui due squadre da three-peat accanto a due soli giocatori, Jordan e Scottie Pippen circondandoli con John Paxson, BJ Armstrong, Scott Williams, Horace Grant e successivamente con Ron Harper, Steve Kerr, Toni Kukoc, Luc Lobgley e Dennis Rodman. San Antonio ha tratto tanto da Robert Horry e Michael Finley, da Mario Elie, Malik Rose, Stephen Jackson e Bruce Bowen fino ad arrivare a Brent Barry, DeJuan Blair, Cory Joseph, Boris Diaw, Tiago Splitter, Patty Mills e infine portando la qualità dello scouting ad un livello inaudito come dimostrano Dewayne Dedmon (centro titolare!) o Jonathon Simmons e Kyle Anderson.
Nella storia della Lega le grandi dinastie sono sempre state identificate da un binomio allenatore-stella più general manager. Immutabili. Red Auerbach e Bill Russell. Pat Riley e Magic Johnson con Jerry West. Phil Jackson e Michael Jordan con Jerry Krause. Solo che Popovich non ha avuto solo Duncan come riferimento. Parker è stato MVP della Finale del 2007 e Leonard del 2014. Ginobili poteva esserlo nel 2005. Ora Duncan non c'è più ma il livello della squadra è lo stesso di sempre. Kawhi Leonard è il nuovo leader, Parker e Ginobili rappresentano la cultura. LaMarcus Aldridge e Pau Gasol sono il frutto della credibilità raggiunta attraverso la continuità e la programmazione.
(3-continua)

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