lunedì 27 marzo 2017

L'interminabile dinastia degli Spurs: l'analisi

I San Antonio Spurs hanno superato la soglia delle 50 vittorie, che nella concezione NBA rappresenta l'eccellenza assoluta, per il 18° anno consecutivo. Il segnale è fortissimo perché nessuno aveva mai avuto una striscia così lunga e poi perché è il primo anno che questo avviene senza Tim Duncan, il volto della franchigia dal 1997 al 2016 ininterrottamente. Siamo persino oltre il livello di dinastia. In questo arco di tempo i Lakers hanno vinto gli stessi titoli (cinque) e giocato una Finale in più (sette contro sei) ma qui parliamo di una costanza di rendimento sconvolgente.
L'unica cosa che non hanno fatto in questi venti anni è stata vincere due titoli consecutivi. Perché non ce l'abbiano fatta francamente è inspiegabile. Nel 2013 andarono a un miracolo di Ray Allen o un rimbalzo difensivo dal titolo. Ma non possiamo sapere se - avessero vinto quel titolo - avrebbero poi vinto quello del 2014. Di sicuro vinsero nel 2005 e nel 2007 perdendo nel 2006 una serie rocambolesca con Dallas alla settima partita in casa. Forse quella fu la loro migliore chance di vincere due o  tre volte di fila il titolo.
Analizzare questa striscia, che potrebbe anche proseguire, forse è meno facile di quanto si pensi. Per qualche motivo, collocazione geografica, stile di gioco, personalità dei singoli, in generale gli Spurs sono stati meno vivisezionati di quanto avrebbero meritato. Non hanno bucato lo schermo perché il loro giocatore più rappresentativo, Tim Duncan, è sempre stato un giocatore solido, The Big Fundamental, non spettacolare. Il marchio di fabbrica era il tiro dalla media di tabellone. Non proprio il fade-away di Kobe, la potenza di Shaq, la squassante onnipotenza di LeBron. Sono stati anche sempre privi di quelle controversie interne o di giocatori esplosivi fuori del campo che paradossalmente amplificano la popolarità di una squadra. Niente dualismo Kobe-Shaq. Niente Dennis Rodman (ce l'avevano e lo mandarono via, di fatto permettendo ai Bulls di vincere i loro secondi tre titoli) o Draymond Green ad esempio. Hanno avuto Stephen Jackson ma per poco tempo. Il loro giocatore più intrigante è stato forse Manu Ginobili: fantasioso, creativo,  e sposato con la fidanzata di Bahia Blanca e con figli bellissimi. L'apoteosi del ragazzo perfetto. Ma pur sempre un giocatore da 13.6 punti di media in carriera, partito dalla panchina nel 60% abbondante delle partite che ha giocato.
Inciso: Ginobili ha sacrificato molto del proprio ego per le vittorie di squadra. Non ha mai toccato i 20 di media ma giocando in una squadra differente non c'è dubbio che individualmente avrebbe avuto una carriera molto più esplosiva. Tuttavia avrebbe vinto di meno. E Ginobili nella sua vita inclusa l'esperienza di Bologna e inclusa la Nazionale ha vinto un'enormità. Se Tim Duncan e David Robinson sono i padri fondatori della cultura degli Spurs, Ginobili e Tony Parker sono i primi depositari della "Verità".
Ci sono state credo solo tre situazioni non cestistiche da prima pagina in questi anni. Il divorzio dalla moglie di Duncan con accuse da cronaca rosa; la love-story di Parker con Eva Longoria e poi il triangolo sentimentale che coinvolse Parker, Brent Barry e la moglie di quest'ultimo. Eppure gli Spurs sono riusciti a mantenere tutti questi episodi dentro i confini di una accettabile riservatezza.
I cinque capisaldi della dinastia degli Spurs: 1) fortuna; 2) continuità; 3) scouting; 4) programmazione; 5) credibilità. Possiamo riunirli come dicono loro sotto la voce Cultura.
(1-continua)

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