venerdì 3 marzo 2017

Golden Times: l'assunzione di Steve Kerr


Steve Kerr si presentò al colloquio per l’assunzione sfoggiando una presentazione di sé stesso in power-point. Il titolo “Perché è il momento giusto per diventare capo allenatore”. Nella presentazione Kerr indicò vari motivi, idee, strategie, anche sui Golden State Warriors. Il miglior strumento di convincimento era il suo passato. Non tanto da giocatore e forse neppure da telecronista, piuttosto l’esposizione ricevuta presso molti dei più grandi coach della sua era. Lute Olson al college, Phil Jackson e Gregg Popovich nella NBA. Quando parti con questi maestri, sei già avanti. E infatti molte delle idee di Kerr erano o sono diretta emanazione dei suoi mentori. Ad esempio intervallare le sedute video proposte ai giocatori con spezzoni di film o clip autoironiche: Phil Jackson allo stato puro.
E anche nello stile di gioco, Kerr ha imposto un gioco in qualche concetto paragonabile a quello predicato da Phil Jackson (ad esempio le spaziature o la necessità che tutti siano pericolosi), o da Popovich che ha sempre fatto del movimento di uomini e palla la base del suo gioco a San Antonio. Al tempo stesso, Kerr si è meravigliosamente adattato alle caratteristiche della sua squadra, alla presenza di un palleggiatore “avanzato” come Green o di due dei più grandi tiratori della storia nello stesso lineup come Curry e Thompson, un fatto che certamente ha sbilanciato gli equilibri verso il perimetro. Ma uno dei capisaldi della filosofia di Kerr è proprio questo: gli schemi, la tattica, sono concetti alla portata di tutti, come conoscenza e applicazione. La differenza vera la fa l’ambiente che crei. Ma ci fu un altro aspetto della presentazione di Kerr che, in quella sala conferenze affittata per l’occasione in un hotel dell’aeroporto di Oklahoma City, colpì molto gli interlocutori di Kerr. Il futuro coach dei Warriors menzionò tre nomi come possibili assistenti: Ron Adams, veterano rispettato in tutta la NBA, grande specialista difensivo; Alvin Gentry, che era uno dei suoi potenziali avversari ed era stato già capo allenatore nella NBA, e David Blatt, che aveva appena vinto l’Eurolega con il Maccabi ma voleva tornare negli Stati Uniti. “Fu una mossa importante – raccontò dopo Lacob – Mi piaceva trovarmi di fronte ad un allenatore che non aveva paura di circondarsi di gente esperta e valida che poteva minacciarne la leadership. Voleva solo assemblare lo staff migliore per vincere le partite”. 
Continua a leggere "Golden Times" acquistando l'e-book su Amazon. 

Nessun commento: