venerdì 13 aprile 2018

Allenatore dell'anno: otto candidati e un solo Brad Stevens


Non c’è mai stata probabilmente nella storia della NBA una stagione con tanti allenatori meritevoli del trofeo di Coach dell’anno. E’ legittimo considerare candidati in nessun particolare ordine: Brad Stevens (Boston), Dwane Casey (Toronto), Brett Brown (Philadelphia), Nate McMillan (Indiana), Mike D’Antoni (Houston), Gregg Popovich (San Antonio), Terry Stotts (Portland) e Quin Snyder (Utah). C’è un modo interessante, nell’era dei dati analitici ormai di uso comune in America, per decifrare il rendimento di una squadra: paragonare il numero di vittorie effettivo al numero di vittorie preventivate a inizio stagione dai siti specializzati. Ad esempio di questi otto allenatori, solo Popovich ha vinto meno partite (47 contro 53) del preventivato; Stevens a Boston è andato pari. Gli altri ne hanno vinte in media una decina in più.

Nate McMillan (+18): quando i Pacers hanno ceduto Paul George a Oklahoma City si pensava che quella in atto fosse una ricostruzione, tanto che dai Thunder erano arrivati due giocatori giovani come Victor Oladipo e Domantas Sabonis. Ceduto anche Jeff Teague, la previsione prestagionale era di 30 vittorie. I Pacers ne hanno vinte 48, Oladipo è diventato un All-Star e il triangolo di giovani Oladipo-Sabonis più Myles Turner rappresenta una grande base da fortificare. McMillan ha avuto abbastanza anche da alcuni veterani come Darren Collison, Thaddeus Young e Bojan Bogdanovic. I Pacers un anno fa avevano vinto 42 partite, ma nell’anno della perdita di George, il loro miglior giocatore, ne hanno vinte di più. Questo è un premio al lavoro di McMillan. E’ anche vero che Oladipo ha numeri simili a quelli di George. Lo scambio con OKC che doveva essere favorevole ai Thunder adesso andrebbe rivisitato. Il dubbio è che quanto accaduto debba essere ascritto più a merito del general manager Kevin Pritchard che dell’allenatore.
Quin Snyder (+12): i Jazz erano un’altra squadra che sembrava implosa dopo la perdita di Gordon Hayward. Ebbene, i Jazz hanno vinto 29 delle ultime 35 partite, un passo degno di una contender. Perso in estate il giocatore di maggior talento, Snyder ha costruito una difesa strepitosa attorno a Rudy Gobert, la seconda della Lega dopo quella di Boston, pur giocando 26 partite senza il suo totem francese. Anche qui bisogna dare atto al general manager Dennis Lindsey di aver centrato almeno due mosse cruciali: la prima è stata la scelta di Donovan Mitchell nel draft con il numero 13 e la seconda è stata la trade di metà stagione con cui ha rinunciato a Rodney Hood e Joe Johnson per avere Jae Crowder che ha allargato il campo e permesso a Snyder di alzare l’aggressività della difesa. Un altro capolavoro è stato quello di riuscire a giocare anche con Derrick Favors e Gobert assieme, in pratica due centri.
Brett Brown (+11): i Sixers hanno vinto 24 partite in più della stagione scorsa. In realtà questo progresso era atteso visto che Ben Simmons è passato da zero a 81 gare giocate e Joel Embiid era stato utilizzato per meno di metà regular season mentre ha giocato 63 partite quest’anno. Brown ha anche sfruttato il supporto di un gruppo di veterani con contratti brevi come JJ Redick, Marco Belinelli, Ersan Ilyasova e Amir Johnson. Tuttavia, i Sixers erano pronosticati attorno alle 41 vittorie, invece ne hanno vinte 52 e sono tornati nei playoffs con il fattore campo a favore. E la prima scelta Markelle Fultz ha potuto dare poco o niente. Ci sono un paio di cose da dire di Brown: ha portato i Sixers in alto senza deviare dall’obiettivo principale che è quello di coltivare i suoi giovani fenomeni tant’è vero che il suo quintetto base conta 25.4 anni di età media nonostante i 33 di Redick, e ha costruito la quarta difesa della Lega, che con un roster giovane non è poco.
Mike D’Antoni (+11): ha vinto il titolo l’anno scorso. E’ molto improbabile che lo vinca una seconda volta. Eppure i Rockets hanno vinto 64 partite, 10 in più del pronosticato, e sono stati la miglior squadra della Lega. L’innesto di Chris Paul ovviamente è stato decisivo ma non è sempre scontato che l’addizione di una star ingombrante produca progressi tangibili soprattutto arrivando in una squadra già fortissima, rodata e con un leader designato come James Harden. Non c’è nulla di più difficile che compiere l’ultimo passo, elevarsi dal rango di squadra di vertice a squadra da titolo. I Rockets ora lo sono. D’Antoni merita di essere in questa conversazione.
Dwane Casey (+10): i Raptors sono da anni una squadra di elite a Est ma erano pronosticati a quota 49 vittorie e invece ne hanno vinte 59, miglior record di conference per quanto favorito dai problemi dei Celtics. Casey raccoglie tanti consensi perché Toronto ha modificato il modo di giocare (più arioso, più moderno, più tiro da tre), ridotto la dipendenza dai big Kyle Lowry e DeMar DeRozan e sviluppato i giovani. Sette dei primi 11 giocatori hanno meno di 25 anni e sono oltre i trenta solo CJ Miles e Kyle Lowry. Con questo roster, Casey ha messo assieme il secondo attacco della Lega e la quinta difesa, un bilanciamento invidiabile. E’ vero che Toronto non ha subito infortuni seri: solo OG Anunoby ha saltato un numero rilevante di partite ma sempre dentro la normalità.
Terry Stotts (+10): Portland ha vinto otto partite in più dell’anno scorso e 10 in più di quelle preventivate. Nonostante i Blazers siano una squadra identificabile nel talento delle due guardie (oltre 48 punti in coppia), la squadra ha una forte identità difensiva e ad un certo punto ha vinto 13 gare consecutive. Stotts non raccoglie grandi consensi perché ci sono allenatori che hanno vinto con più infortuni, con meno talento, o perdendo giocatori importanti. Ma il cambio di passo, il rendimento difensivo e le aspettative sono fattori da considerare.
Brad Stevens (0): i Celtics erano pronosticati a quota 55 vittorie, quelle che poi hanno conseguito. Ma come? Gordon Hayward è stato impiegabile per una manciata di minuti; Kyrie Irving ne ha saltate 22, Marcus Smart e Marcus Morris 28, Jaylen Brown 12. Con una squadra torturata dagli infortuni, che aveva sacrificato profondità (Avery Bradley, Jae Crowder, Kelly Olynik, Amir Johnson) per prendere due star, un quintetto da 25.4 anni di media, comprensivo di due ventenni come Brown e il rookie Jayson Tatum, Brad Stevens ha fabbricato la miglior difesa della Lega (100.4 punti concessi ogni 100 possessi) e vinto 55 partite. Il suo centro titolare era Aron Baynes. Un capolavoro.
Gregg Popovich (-6): San Antonio doveva vincere secondo gli statistici 53 partite. Ne ha vinte 47. Ma Tony Parker ha mancato 27 partite, Manu Ginobili è stato centellinato e la stella della squadra Kawhi Leonard in pratica non ha mai giocato. La situazione degli Spurs può ricordare quella dei Celtics. Con la differenza che San Antonio gioca a Ovest. Qualche volta gli Spurs vengono dati per scontati ma non lo sono. Oklahoma City quando ha giocato senza Kevin Durant ha mancato i playoffs e aveva Russell Westbrook e Serge Ibaka. Leonard sta agli Spurs come LeBron James ai Cavaliers. LaMarcus Aldridge ha disputato una stagione strepitosa, forse la migliore della carriera, ma San Antonio poteva affondare e Popovich non l’ha permesso. Non sarà allenatore dell’anno ma ha fatto un lavoro straordinario comunque.
CHI ELIMINARE?: tutte le otto candidature sono corrette e giustificate. Ogni ragionamento può condurre in direzioni diverse. Escluderei subito Mike D’Antoni, con la morte nel cuore: Houston insegna, ha vinto tantissimo ma, alla fine della storia, ha aggiunto un fenomeno come Chris Paul (anche se ha saltato 25 partite). Eliminerei anche Popovich: non sono sicuro sia giusto perché poche squadre vincerebbero 47 partite senza praticamente poter utilizzare il miglior giocatore della squadra, anzi questa stagione è stata di fatto la prima in carriera senza vere star di Popovich e ha dimostrato di poter fare comunque la differenza, ma penso anche che la cultura, il sistema che ha costruito abbiano reso più assorbibili i problemi. Terry Stotts ha fatto un lavoro straordinario e poi ho un debole per la sua storia di primo americano tagliato per motivi tecnici nella storia del basket italiano. Ma Portland per me valeva più delle 39 vittorie preventivate. Ha fatto bene, ma non ha fatto un’impresa con un giocatore che è trai primi dieci della Lega probabilmente. Infine escludo Dwane Casey e qui so che molti non saranno d’accordo. Ha compilato il miglior record della Eastern Conference, modificando il modo di giocare dei Raptors, ha costruito una squadra efficace sui due lati del campo e con un supporting cast di giovani, alcuni dei quali rookie autentici. In altre stagioni avrebbe vinto a mani basse, ma non in questa. Il livello di difficoltà superato da altri allenatori è stato troppo elevato per essere ignorato.
PERCHE’ NON McMILLAN: ci sono stati momenti in cui sono stato tentato di preferirlo a tutti. La stagione dei Pacers è stata sorprendente ma Victor Oladipo ha giocato almeno come aveva fatto Paul George l’anno scorso e – ripeto – se Pritchard ha “vinto” o comunque non ha “perso” lo scambio con Sam Presti, penso debba essere considerato come executive dell’anno. Il che automaticamente riduce i meriti – comunque enormi – di McMillan.
PERCHE’ NON BROWN: lo meriterebbe per la sofferenza di tante stagioni perdenti. Dopo un anno da 52-30 resta incatenato al 31% di vittorie in carriera. I Sixers hanno vinto molto più di quanto dovevano. In pratica hanno saltato uno step. Ma chiunque possa acquistare senza cedere nessuno un Ben Simmons e avere Joel Embiid per quasi un anno intero ha il dovere di vincere molto. Lui l’ha fatto. Anche con un Fultz sostanzialmente inutile. Anche lui in un altro anno avrebbe vinto, ma i Sixers sono davvero forti, forse anche abbastanza forti da rendere “normali” le 52 vittorie.
PERCHE’ NON SNYDER: in realtà non ho neppure una risposta. Snyder è uno dei migliori allenatori del mondo. Allevato come giocatore e nei primi passi da Mike Krzyzewski a Duke; enfant prodige a Missouri (capo allenatore a 32 anni), travolto da uno scandalo un po’ come successe a Casey a Kentucky; riemerso come assistente di lungo corso, anche al CSKA Mosca sotto Ettore Messina con cui aveva lavorato ai Lakers; infine capo allenatore a Utah. Grande difesa di squadra, attacco preciso, e poco star-power. I Jazz sembrano quelli di Jerry Sloan negli anni ’90 senza Malone e Stockton. I Jazz sono rimasti competitivi senza Hayward e sono esplosi quando hanno sostituito Hood con Crowder, recuperato Gobert. Ma penso anche Donovan Mitchell sia un fenomeno che ha reso la partenza di Hayward assorbibile. Non scelgo Snyder ma ritengo corretto farlo.
AND THE WINNER IS… Brad Stevens. Ha perso Gordon Hayward alla prima occasione senza poterlo sostituire. L’infortunio sembrava dovesse cancellare i Celtics dal vertice ma lui ha costruito la miglior difesa della Lega e ha tenuto con un rookie e un secondo anno in quintetto, costretti ad assumersi responsabilità che non dovevano avere. Poi ha perso anche Dan Theis, poi ha perso Marcus Smart e infine anche Kyrie Irving. Un contesto tipico di una stagione “persa, da archiviare come sfortunata e invece portata a termine con 55 vittorie. Molti sono convinti che sia il miglior allenatore nella NBA attuale. Questa stagione ha spiegato perché.

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