martedì 20 marzo 2018

Toronto Raptors: da Bosh e Bargnani a DeRozan, l'evoluzione

Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima volta nella sua storia in finale.
Per capire i Raptors bisogna ripartire da molto lontano ovvero dal 2006. In quel momento, Toronto era la squadra di Chris Bosh, uno dei grandi nomi del draft del 2003. Quando i Pistons vengono “rianalizzati” perché scelsero Darko Milicic con il numero 2 piuttosto che Carmelo Anthony o Dwyane Wade ci si dimentica che, tatticamente, se volevano un “big man” avrebbero anche potuto prendere Bosh.
I Raptors avevano quindi una star giovane e la grande opportunità di scegliere con il numero 1: non era un grande draft, lo sappiamo. Con il senno di poi avrebbero dovuto prendere LaMarcus Aldridge e affiancarlo a Bosh. Ma i Raptors erano gestiti da Bryan Colangelo che aveva avuto grande successo a Phoenix puntando sulle idee di Mike D’Antoni. Quando arrivò a Toronto diede alla franchigia una forte impronta internazionale, con Maurizio Gherardini braccio destro più Marc Eversley, che anche ora lo affianca a Philadelphia. I Raptors nello stesso anno portarono nella NBA Jorge Garbajosa ed Anthony Parker, avevano già Josè Calderon, e infine scelsero all’1 Andrea Bargnani.
Anche se la carriera di Aldridge è stata chiaramente superiore a quella di Bargnani, tendiamo tutti a dipingerla meno buona di quanto sia stata. Bargnani non è diventato un All-Star ed è vero che dal numero 1 di ogni draft si aspettano cose eccezionali ma in sette anni ai Raptors ha segnato 15.2 punti per gara con 4.8 rimbalzi, tirando con il 36.1% da tre. Cinque anni dopo, sarebbe stato un perfetto “Stretch 5” di un quintetto “small” di quelli che oggi usano tutti. Nel 2010/11 Bargnani ha segnato 21.4 punti a partita. Dopo sono cominciati gli infortuni, veri responsabili del suo declino: la stagione seguente ebbe 19.5 punti di media ma sfortunatamente con appena 31 presenze. Da quel momento non ha mai giocato più di 46 partite in una stagione. 

INCISO: degli ultimi 30 giocatori scelti all’1 cinque sono diventati MVP (Shaq, Iverson, Duncan, LeBron e Rose), altri 11 (quindi 16 in tutto) sono stati All-NBA (Coleman, Larry Johnson, Webber, Brand, Yao, Howard, Bogut, Griffin, Wall, Irving e Anthony Davis), altri quattro (Danny Manning, Glenn Robinson, Kenyon Martin e Karl-Anthony Towns) hanno giocato l’All-Star Game senza essere mai All-NBA (Bogut ha fatto il contrario). Quindi 10 su 30 risultano privi di onori individuali. Tra questi però ci sono Markelle Fultz, Ben Simmons e Andrew Wiggins, ancora troppo acerbi per considerazioni profonde (Simmons è un potenziale MVP). Sono sette quelli che certamente non hanno sfondato abbastanza: Anthony Bennett e Kwame Brown sono stati un disastro, Greg Oden è stato rovinato dagli infortuni; Pervis Ellison e Michael Olowokandi hanno avuto carriere mediocri; quella di Bargnani è paragonabile a quella di Joe Smith (1995), molto, molto meno lunga, con picchi migliori. Giocatori di medio livello, che a tratti hanno dato la sensazione di poter diventare star ma non hanno mai fatto il salto di qualità.

Bargnani è stato un errore perché Colangelo poteva prendere Aldridge ma rivisto oggi quel draft era davvero povero. Se dovessero rifarlo oggi, dopo Aldridge verrebbero scelti in ordine discutibile Kyle Lowry, Rajon Rondo, Paul Millsap (fu chiamato al secondo round!) e Rudy Gay a parte Brandon Roy che forse è stato il migliore di tutti ma la cui carriera è stata tagliata dagli infortuni. Toronto ebbe la chiamata numero 1 nell’anno sbagliato e quella sfortuna ingigantita dall’errore commesso nel trascurare Aldridge in ultima analisi è costata il posto a Colangelo.
Ma è stata la fortuna di Masai Ujiri.
Nel 2009/10 i Toronto Raptors vinsero 40 partite e non si qualificarono per i playoff. Bosh in quel momento vantava due apparizioni in post-season e due eliminazioni al primo turno. Non c’era modo che quei Raptors potessero diventare una squadra da titolo. E Bosh era la “spalla” più ricercata della NBA nella stagione clamorosa di “The Decision”. Chris si accodò a Dwyane Wade e LeBron James trasferendosi a Miami. I Raptors rimasero senza la loro star e costretti a ricostruire. Tuttavia Colangelo aveva già gettato basi importanti: nel 2009 aveva scelto DeMar DeRozan che nel primo anno senza Bosh ebbe 17.2 punti per gara a 21 anni di età. Nei draft successivi alla fuga di Bosh scelse Jonas Valanciunas e Terrence Ross. Nell’estate del 2012 acquistò da Houston anche Kyle Lowry. Quando nel 2013 venne sostituito da Ujiri lasciò al suo successore i tre quinti dello starting five di adesso inclusi i due All-Star, più Ross che poi Ujiri avrebbe utilizzato per prendere Ibaka da Orlando. Per quanto i Sixers di oggi siano considerati il frutto del lavoro di Sam Hinkie e delle sue drastiche idee (Trust The Process) più che di Colangelo (teoria rafforzata dal disastroso – al momento - scambio Fultz-Tatum con Boston); al tempo stesso nei Raptors di oggi c’è molto di Colangelo. Ujiri ha ricevuto una grande eredità e l’ha valorizzata bene.
Toronto ha utilizzato i draft per scegliere negli ultimi due anni Pascal Siakam, ala forte di energia, Jakob Poeltl, centro austriaco di scuola americana destinato a rimpiazzare Valanciunas, e OG Anunoby, terrificante atleta sottovalutato prima dell’esplosione all’università di Indiana. Questi giocatori hanno confermato le qualità di scout di Ujiri, che era entrato nella NBA proprio con questo ruolo. Con Delon Wright, Fred Van Vleet e naturalmente Norman Powell - ottenuto nel 2015 da Milwaukee insieme al diritto di scelta diventato in seguito Anunoby, in cambio di Greivis Vasquez - formano il cuore di una panchina che per molti è oggi la migliore della NBA e il vero segreto dei Raptors. 
C’è da dire che Ujiri ha realizzato due capolavori quando è riuscito a scaricare a condizioni vantaggiose i contratti di Bargnani e Rudy Gay. Cedendo Bargnani ai Knicks ha ricevuto in cambio tre scelte tra cui una numero 1 trasformata in Poeltl. Scambiando Gay a Sacramento ha risparmiato soldi e ottenuto Patrick Patterson, che ha dato eccellenti stagioni ai Raptors come “Stretch 4” prima di diventare superfluo in un ruolo in cui avevano aggiunto Ibaka e Siakam, più Vasquez usato per avere Powell e Anunoby. Considerando Anunoby uno starter, l’intera “second unit” di Toronto incluso CJ Miles costa 16.4 milioni. Senza Miles è sotto i 10. Delon Wright (a parte Miles) è il più vecchio, 25 anni di età!

Quando Ujiri sostituì Colangelo a Toronto, i Raptors avevano vinto 34 partite e l’idea era quella di ricostruire. Nel dicembre del 2013 avevano deciso di scambiare Kyle Lowry a New York per ricevere Iman Shumpert ma soprattutto una futura prima scelta. Lo scambio avrebbe messo in moto una profonda ricostruzione della squadra che forse non avrebbe risparmiato neppure DeRozan. Ma i Knicks si tirarono indietro all’ultimo momento e i Raptors esplosero. Da quel momento hanno vinto tre titoli dell’Atlantic Division (ora arriverà il quarto) e toccato nel 2016 quota 56 vittorie. Ogni proposito di ricostruzione o “tanking” è stato abbandonato. 
Ma il successo in regular season non si è tradotto nei playoffs. Nel 2014 i Raptors persero 4-3 contro Brooklyn (la serie del “Fuck Off Brooklyn” urlato da Ujiri insieme ai tifosi costatogli una maximulta); nel 2015 furono umiliati 4-0 da Washington. Nell’estate del 2015 aggiunsero al roster DeMarre Carroll e Cory Joseph che aveva oltretutto il pregio di essere canadese. In quella stagione arrivarono alla finale di conference perdendola 4-2 contro Cleveland che poi avrebbe vinto il titolo. Valanciunas si infortunò e Bismack Biyombo lo sostituì catturando 9.4 rimbalzi di media nella post-season che ne anticipava l’irruzione sul mercato dei free-agent. La sensazione era che Toronto avesse raggiunto il top del proprio potenziale e con DeRozan in scadenza di contratto aveva l’opportunità di ripartire. Invece Ujiri ha firmato DeRozan per 27 milioni a stagione e lasciato andare Biyombo a Orlando (Poeltl è più giovane, più bravo e con contratto da rookie molto meno costoso). Dopo le 51 vittorie ma lo 0-4 con i Cavs del 2017, ha scaricato sia Carroll che Joseph ricevendo CJ Miles, meno impegnativo dal punto di vista economico ma di nuovo ha rifiutato l’idea di ricominciare estendendo sia Ibaka – arrivato a metà stagione scorsa e firmato per tre anni a 65 milioni – che Lowry, 90 milioni in tre anni.
E arriviamo così a Nick Nurse.
Nurse è uno degli assistenti di Dwane Casey, uno dei sopravvissuti dei Raptors. Casey era un giovane assistente di Kentucky quando una busta spedita da lui alla recluta Chris Mills (futuro discreto giocatore NBA) contenente denaro saltò fuori in modo rocambolesco creando uno scandalo che avrebbe dovuto spazzarlo via. Casey ripartì dal Giappone, era un reietto. In seguito è riemerso prima da assistente (a Seattle ha fatto la finale del 1996, a Dallas ha vinto il titolo del 2011) e poi capo a Minnesota e infine Toronto.
Nurse invece ha trascorso gran parte della sua carriera in Gran Bretagna, addirittura. Dopo i successi ad Iowa sempre nell’attuale G-League, Houston lo mise a capo del progetto Rio Grande, la squadra di sviluppo che aveva come obiettivo sperimentare le idee dei Rockets fino alle estreme conseguenze ovvero provare a giocare tirando praticamente solo da tre o al ferro, proibendo i tiri dalla media. Nel 2013 Nurse venne chiamato da Ujiri a Toronto ma solo nell’ultima estate è diventato di fatto una specie di “offensive coordinator”. I Raptors fino allo scorso anno giocavano un basket difensivo, fisico ma antiquato in attacco, con la loro stella DeRozan impalpabile come tiratore da tre punti.

I nuovi Raptors come filosofia ora usano di più la panchina, spremono meno le stelle (Lowry nei playoff è sempre arrivato spento ma ora gioca 32 minuti a partita, cinque in meno di media rispetto alle ultime due stagioni), corrono di più e tirano da tre. Non sono i Rockets ovviamente ma sparano dall’arco nove volte in più dell’anno scorso. DeRozan, che gioca 34 minuti a partita, il valore più basso dalla sua stagione da rookie quando c’era ancora Bosh, esegue 3.6 tiri da tre di media e Nurse ha spiegato che il solo fatto che li prenda aiuta i compagni e apre spazi per tutti. Persino Jonas Valanciunas, centro vecchia scuola, ha iniziato a tirare da tre, così mixando il suo gioco spalle a canestro.

Il risultato è che oggi i Raptors sono la terza squadra della Lega nei punti per 100 possessi e la quarta difesa nella stessa metrica. Non ci sono garanzie di un approdo in finale che sarebbe storico. All’orizzonte resta LeBron James prima o poi da superare e resta da capire se possa andare in finale o addirittura vincerla una squadra il cui miglior giocatore è DeRozan e conta su un esercito di “role players”. Ma Ujiri è riuscito a costruirla con pazienza senza passare dal disastro, vincendo praticamente tutti gli scambi, sostituendo i giocatori diventati troppo costosi con elementi giovani e a basso costo, addirittura cambiando filosofia di gioco senza cambiare né l’allenatore né i quattro giocatori di punta. Davvero notevole.

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