venerdì 16 marzo 2018

Ecco come Toronto è diventata la miglior squadra dell'Est


Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima volta nella sua storia in finale.
Per capire i Raptors bisogna ripartire da molto lontano ovvero dal 2006. In quel momento, Toronto era la squadra di Chris Bosh, uno dei grandi nomi del draft del 2003. Quando i Pistons vengono “rianalizzati” perché scelsero Darko Milicic con il numero 2 piuttosto che Carmelo Anthony o Dwyane Wade ci si dimentica che, tatticamente, se volevano un “big man” avrebbero anche potuto prendere Bosh.
I Raptors avevano quindi una star giovane e la grande opportunità di scegliere con il numero 1: non era un grande draft, lo sappiamo. Con il senno di poi avrebbero dovuto prendere LaMarcus Aldridge e affiancarlo a Bosh. Ma i Raptors erano gestiti da Bryan Colangelo che aveva avuto grande successo a Phoenix puntando sulle idee di Mike D’Antoni. Quando arrivò a Toronto diede alla franchigia una forte impronta internazionale, con Maurizio Gherardini braccio destro più Marc Eversley, che anche ora lo affianca a Philadelphia. I Raptors nello stesso anno portarono nella NBA Jorge Garbajosa ed Anthony Parker, avevano già Josè Calderon, e infine scelsero all’1 Andrea Bargnani.
Anche se la carriera di Aldridge è stata chiaramente superiore a quella di Bargnani, tendiamo tutti a dipingerla meno buona di quanto sia stata. Bargnani non è diventato un All-Star ed è vero che dal numero 1 di ogni draft si aspettano cose eccezionali ma in sette anni ai Raptors ha segnato 15.2 punti per gara con 4.8 rimbalzi, tirando con il 36.1% da tre. Cinque anni dopo, sarebbe stato un perfetto “Stretch 5” di un quintetto “small” di quelli che oggi usano tutti. Nel 2010/11 Bargnani ha segnato 21.4 punti a partita. Dopo sono cominciati gli infortuni, veri responsabili del suo declino: la stagione seguente ebbe 19.5 punti di media ma sfortunatamente con appena 31 presenze. Da quel momento non ha mai giocato più di 46 partite in una stagione. 

INCISO: degli ultimi 30 giocatori scelti all’1 cinque sono diventati MVP (Shaq, Iverson, Duncan, LeBron e Rose), altri 11 (quindi 16 in tutto) sono stati All-NBA (Coleman, Larry Johnson, Webber, Brand, Yao, Howard, Bogut, Griffin, Wall, Irving e Anthony Davis), altri quattro (Danny Manning, Glenn Robinson, Kenyon Martin e Karl-Anthony Towns) hanno giocato l’All-Star Game senza essere mai All-NBA (Bogut ha fatto il contrario). Quindi 10 su 30 risultano privi di onori individuali. Tra questi però ci sono Markelle Fultz, Ben Simmons e Andrew Wiggins, ancora troppo acerbi per considerazioni profonde (Simmons è un potenziale MVP). Sono sette quelli che certamente non hanno sfondato abbastanza: Anthony Bennett e Kwame Brown sono stati un disastro, Greg Oden è stato rovinato dagli infortuni; Pervis Ellison e Michael Olowokandi hanno avuto carriere mediocri; quella di Bargnani è paragonabile a quella di Joe Smith (1995), molto, molto meno lunga, con picchi migliori. Giocatori di medio livello, che a tratti hanno dato la sensazione di poter diventare star ma non hanno mai fatto il salto di qualità.
Bargnani è stato un errore perché Colangelo poteva prendere Aldridge ma rivisto oggi quel draft era davvero povero. Se dovessero rifarlo oggi, dopo Aldridge verrebbero scelti in ordine discutibile Kyle Lowry, Rajon Rondo, Paul Millsap (fu chiamato al secondo round!) e Rudy Gay a parte Brandon Roy che forse è stato il migliore di tutti ma la cui carriera è stata tagliata dagli infortuni. Toronto ebbe la chiamata numero 1 nell’anno sbagliato e quella sfortuna ingigantita dall’errore commesso nel trascurare Aldridge in ultima analisi è costata il posto a Colangelo.
Ma è stata la fortuna di Masai Ujiri.
(1-continua)
 


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