lunedì 8 gennaio 2018

The Lake Show, i più grandi dall'1 al 20




Solo i Boston Celtics hanno una storia paragonabile a quella dei Los Angeles Lakers e un numero di giocatori “storici” competitivo. Nell’anno in cui vengono ritirate le due maglie di Kobe Bryant e si è discusso, si discute sul suo ruolo nella storia della franchigia, ho provato a stilare e analizzare la mia Top 20 dei giocatori gialloviola, escludendo il periodo di Minneapolis per evidente impossibilità di paragonare i giocatori di quell’epoca alle successive e la totale mancanza di immagini che avrebbero potuto aiutare a farsi un’idea almeno stilistica (di Jerry West e Elgin Baylor qualcosa esiste e in più hanno giocato con e contro giocatori di generazioni più familiari, nei primi anni ’70). Ovviamente sono classifiche soggettive, che lasciano il tempo che trovano, non vogliono dimostrare nulla, sono opinabili ma proprio per questo sono sempre state fatte e sempre verranno fatte.
Visto che siamo nel regno dell’impossibile, sarebbe bella una partita tra i Top 10 dei Celtics e i Top 10 dei Lakers. Immaginate i match-up iniziali: Bob Cousy, John Havlicek, Larry Bird, Kevin Garnett, Bill Russell contro Magic Johnson, Jerry West, Kobe Bryant, Elgin Baylor e Kareem Abdul-Jabbar. Dalla panchina: Sam Jones, Ray Allen, Paul Pierce, Kevin McHale, Dave Cowens, Robert Parish per i Celtics; Norm Nixon, Jamaal Wilkes, James Worthy, Shaquille O’Neal e Wilt Chamberlain per i Lakers.


1 Magic Johnson

(5 titoli, 3 MVP della Finale, 3 MVP, 10 All-NBA, 12 All-Star Game, 19.5 ppg, 11.2 apg, 7.2 rpg)


Spiegare perché Magic Johnson debba essere considerato il miglior Laker di tutti i tempi significa soprattutto spiegare perché l'onore non dovrebbe andare a qualcun altro. In parte è una questione soggettiva: trovo legittimo che qualcuno possa scegliere Kobe, Kareem, West o Shaq al suo posto. In termini di titoli vinti con i Lakers, lui e Kobe sono pari; negli ultimi tre era chiaramente il giocatore di punta e nei primi due andava considerato almeno alla pari di Kareem. Ma nel 1980 i Lakers hanno vinto gara 6 della finale NBA a Philadelphia senza Kareem. Lui segnò 42 punti con 15 rimbalzi. Secondo la storia scritta da chi ha vinto, Magic sostituì Abdul-Jabbar giocando da centro, in realtà i Lakers abbassarono il quintetto e lui giocò assieme a tre esterni e in effetti venne accoppiato quasi sempre al 4 dei Sixers (Caldwell Jones o Bobby Jones). Resta la prestazione disumana. Direi che abbia avuto un impatto sui Lakers in tutti i cinque titoli superiore a quello che ha avuto Kobe nei suoi cinque. Il che non significa che avrebbe vinto anche senza Kareem o che Bryant non sia stato fondamentale in tutti i primi tre titoli vinti. Magic è stato anche tre volte MVP della Lega e ha speso tutta la carriera con i Lakers. È da rimarcare che abbia giocato nove finali in 12 anni, l'ultima con Kareem ritirato e la penultima quando aveva 42 anni. Oltre alla prestazione di Philadelphia da rookie, segnò il baby hook del titolo del 1987 a Boston. Per me è lui il migliore pur con una carriera spezzata nel 1991 a 32 anni, pur con la responsabilità di tre errori clamorosi che sono costati ai Lakers il titolo del 1984. Ma con la sua unicità come giocatore, o anche perché i suoi titoli li ha vinti battendo in finale le squadre di Julius Erving, Larry Bird, Isiah Thomas perdendo il titolo del 1991 contro Michael Jordan. Non ha avuto cammino facile. Però - ripeto - ci sono altre scelte altrettanto giustificabili.

2 Kobe Bryant

(5 titoli, 2 MVP della Finale, 1 MVP, 15 All-NBA, 18 All-Star Game, 25.0 ppg, 4.7 apg, 5.2 rpg)


Kobe Bryant ha vinto cinque titoli con i Lakers e giocato sette finali. In termini di vittorie è al top e due finali le ha vinte da MVP. Nei tre titoli conquistati con O'Neal ha avuto un ruolo importante e soprattutto nel 2000 forse decisivo (la vittoria di gara 4 a Indianapolis con Shaq fuori per falli). Vittorie, longevità (20 anni nella stessa squadra), record e personalità ne fanno un credibile "Best Laker Ever" ma al tempo stesso non è neppure scontato che debba essere davanti a Shaq, Kareem o West. Più di ogni altra cosa questo è un tributo alla grandezza della storia del club. Rispetto a Magic ha avuto qualche anno solitario in cui i Lakers non sono stati al top. A Magic non è mai successo. Sono stati gli anni successivi alla cessione di O'Neal e siccome è stato lui a volerla una parte di responsabilità gli spetta. Kobe ha vinto i primi titoli recitando la parte di Scottie Pippen ai Bulls ma Pippen era un numero due naturale. Giocatore fantastico ma probabilmente non avrebbe mai vinto un titolo da miglior giocatore della propria squadra. Il ruolo a Bryant stava stretto. La scelta di forzare la cessione di Shaq è stata l'evento che da un lato l'ha privato di qualcosa e dall'altro gli ha permesso di giocare successivamente tre finali da uomo di punta di cui due vinte. La grande anomalia è che solo una volta sia stato nominato MVP della Lega. Ma è stata colpa sua o di chi ha deciso? Singolarmente ogni trofeo che non gli è stato assegnato è finito legittimamente in altre mani. Ma nella globalità è assurdo che solo una volta sia stato considerato il migliore. In quegli anni però Kobe divideva come nessun giocatore di questo livello ha mai fatto. Amore e odio in eguale misura (fu fischiato nella sua Philadelphia in un All-Star Game) fino a quando il mondo ha capito che il suo epilogo era prossimo e allora è stata una rincorsa a fargli sapere quanto era stato apprezzato ovunque. In definitiva per me resta un gradino sotto Magic (stessi titoli in meno tempo, ruolo mediamente superiore, più finali e più MVP) ma uno sopra tutti gli altri. Il grande rimpianto risale al 2009 quando avrebbe dovuto affrontare Cleveland e LeBron James in finale piuttosto che Orlando. Il duello Kobe-LeBron in una finale è il grande assente della storia semi contemporanea.

3 Kareem Abdul-Jabbar

(5 titoli, 1 MVP della Finale, 3 MVP, 10 All-NBA, 13 All-Star Game, 22.1 ppg, 3.3 apg, 9.4 rpg)

La carriera di Kareem Abdul-Jabbar probabilmente vale nel complesso più di quanto valgano quelle di ogni altro giocatore nella storia del club. Ma Kareem ha trascorso un terzo della propria storia a Milwaukee dove ha vinto un titolo, giocato due finali e probabilmente espresso il miglior basket della propria carriera. È arrivato a Los Angeles al top della sua evoluzione ma negli anni in cui non aveva neppure un All-Star al suo fianco. Anni di numeri e trofei ma non vittorie. Per quelle sarebbe servito Magic Johnson. Ha vinto cinque titoli con i Lakers e giocato otto finali. È stato a 38 anni MVP della finale del 1985. Ma negli ultimi due titoli il suo ruolo era vistosamente calato. La longevità gli ha permesso di fare incetta di record e rappresenta dopo l'unicità del suo Sky Hook la principale caratteristica della sua carriera. I 38.387 punti e i sei titoli obbligano a considerarlo in qualsiasi conversazione su chi sia stato il più grande della storia (per me dietro Michael Jordan e al momento davanti a LeBron mentre trovo più complicato collocare Bill Russell e Wilt Chamberlain, eroi di un basket troppo diverso). Ma considerandolo al top dal 1971 al 1982 solo sei anni di quel periodo li ha spesi ai Lakers. Quindi è il miglior Buck di tutti i tempi ma per me il terzo Laker.

4 Shaquille O’Neal

(3 titoli, 3 MVP della Finale, 1 MVP, 8 All-NBA, 7 All-Star Game, 27.0 ppg, 3.1 apg, 11.8 rpg)


Shaquille O'Neal è arrivato ai Lakers dopo quattro anni a Orlando. Aveva già giocato una finale e forse già vissuto la sua stagione migliore atleticamente. Ma aveva 24 anni e stava approcciando i migliori anni della sua vita. Lo Shaq più forte è arrivato al terzo titolo dei Lakers poi è cominciato il declino. Ha aiutato Dwyane Wade a vincere il titolo del 2006 a Miami accettando il ruolo di numero due. Ma il vero Shaq è stato quello dei Lakers. È legittimo discutere questa quarta posizione: come Kareem non ha trascorso tutta la sua carriera a Los Angeles ma forse più anni al top. Ha vinto tre titoli ma tutti da MVP (nessuna discussione in merito: non serviva). In quel periodo ha affrontato gli Spurs delle due torri, i migliori Kings deĺla storia e Dikembe Mutombo in una finale. Nessun giocatore nel triennio dei tre titoli ha mai condizionato una partita di alto livello come faceva lui. È stato il singolo giocatore più devastante di sempre purtroppo per un periodo di tempo relativamente breve. Avesse giocato sempre con la ferocia e le motivazioni del triennio 2000-2002 avrebbe forse vinto prima e non sarebbe stato possibile cederlo. Kobe o non Kobe. Va criticato per questo? No perché in tutto ha avuto almeno 10 anni stellari e 12 o 13 di altissimo livello. Penso potesse essere il più grande di tutti i tempi (un solo MVP stagionale ma anche qui penso sia più colpa di chi ha deciso) ma non ci vedo un dramma. Nessuno può escluderlo dai primi 10 o 12. Lo metto dietro Kareem perché comunque ha vinto meno di lui e la sua milizia ai Lakers è stata sensibilmente più corta. Ma solo per questo. In nessuno dei cinque titoli vinti Kareem ha dominato come ha fatto Shaq.

5 Jerry West

(1 titolo, 1 MVP della Finale, 1 MVP, 12 All-NBA, 14 All-Star Game, 27.0 ppg, 6.7 apg, 5.8 rpg)


Collocare Jerry West in questa classifica è frustrante perché non esiste alcuna possibilità di rendergli giustizia. West ha cominciato la sua carriera in un'era differente, dominata dai centri ma in un basket che non è riconoscibile in quello di oggi. Lui però con Oscar Robertson è riuscito a prolungare la carriera ad alto livello fino a concluderla immerso in un basket più moderno, giocando contro giocatori della generazione successiva come lo stesso Kareem. Se guardate il video di una partita di quegli anni ad esempio vedrete nel grande Bill Russell ovvero il giocatore più vincente della storia un centro antico, che difendeva in mezzo all'area e concedeva il tiro dalla media o sua volta veniva marcato con spazio oggi inesistente. Ma West come pochissimi altri era già un giocatore futuristico. Tiro perfetto, usava due mani, durissimo, arrivava al ferro e passava la palla divinamente anche se non ha ricevuto come passatore il credito che meritava. La carriera di West vale un posto tra i Top 10 di sempre. Ma un Top 10 di sempre ai Lakers può diventare soltanto un Top 5? West ha trascorso tutta la sua carriera ai Lakers. In questo è al livello di Magic e Kobe. Resta dietro loro perché ha vinto un solo titolo, nel 1972, contro cinque. Kareem non ha giocato solo nei Lakers ma vi ha trascorso abbastanza tempo da eguagliare la durata di West e anche lui ha vinto di più. Infine O'Neal: la posizione di Shaq è il frutto di un periodo di tempo in cui ha dominato la Lega è deciso la sorte di tre titoli in misura così netta da trascenderne persino il valore. Penso che ci stia il quinto posto di West ritenendolo più testimone della statura storica dei Lakers che di sue presunte mancanze. Ma ci sono molti argomenti per sostenere West in modo diverso. Ha vinto un titolo solo ma quell'anno i Lakers hanno anche vinto 33 partite consecutive. Nel 1969 ebbe in finale contro Boston una prova da 53 punti e 10 assist poi si procurò uno stiramento lieve in gara 5 e perse il titolo più atteso in gara 7 in casa quando Wilt Chamberlain prima si chiamò fuori per infortunio e poi gli impedirono di rientrare. È la pagina più nera della carriera di Wilt. West però era in campo, a combattere e gli diedero, pur sconfitto, il premio di MVP della finale. West ha giocato nove finali e ne ha perse otto. È una macchia ma molti esperti pensano che sia stato un miracolo andare in finale così spesso con una squadra che aveva oltre a lui solo una star, Elgin Baylor, mentre i Celtics ne avevano almeno quattro. I Lakers hanno perso in modo sfortunato nel 1962 e nel 1969 (quando le star erano tre perché venne acquistato Chamberlain), in modo colpevole nel 1970 contro New York (che non ebbe Willis Reed da metà gara 5 è lo fece rientrare zoppicante in gara 7 ma sempre Wilt non riuscì a capovolgere la partita a proprio favore). Hanno vinto nel 1972. West è stato il migliore di una squadra arrivata nove volte a giocarsi il titolo. Guardando le cose in modo sano, West è stato più sfortunato che altro. Se qualcuno lo collocasse al numero 1 o più in alto del 5 non avrei problemi.

6 Elgin Baylor

(1 MVP*, 8 (+2) All-NBA, 9 (+2) All-Star Game, 27.4 ppg, 4.3 apg, 13.5 rpg)

Elgin Baylor è stato il contrario dei “ring chasers” attuali. Non solo non ha mai inseguito un anello ma quando poteva vincerlo, nel 1972, ha preferito ritirarsi piuttosto che conquistarlo partendo dalla panchina come voleva Bill Sharman. In quel momento, Baylor aveva imboccato il viale del tramonto. E’ stato uno dei pochissimi giocatori della storia ad essersi davvero ritirato prima di mostrare di sé stesso un volto meno brillante di quello reale. Purtroppo nella galleria dei grandi Laker della storia lui è penalizzato dalla mancanza totale di titoli. A nessun altro è successo. Baylor è stato MVP della NBA ma nel 1959 quando la squadra giocava a Minneapolis (*), 10 volte è stato All-NBA e otto volte ha raggiunto la Finale NBA senza vincerla. Nel 1962 i Lakers ebbero il tiro del titolo in gara 7 ma lo prese Frank Selvy e fu un errore. Le sue cifre sono strabilianti: Baylor era un realizzatore fantastico che prendeva valanghe di rimbalzi. Era alto 1.95 e giocava sopra il livello del ferro: a quei tempi era uno dei pochissimi esterni a farlo. Classico giocatore che giocava anni avanti ai suoi tempi, più o meno come faceva il suo “partner” Jerry West. Molti dei concetti espressi per West andrebbero ripetuti per Baylor. In aggiunta: ha avuto un infortunio catastrofico nel 1964 e trascorso un anno nei “riservisti” dell’esercito, costretto a giocare solo nei week-end. A quei tempo poteva succedere.


7 James Worthy

(3 titoli, 1 MVP della Finale, 2 All-NBA, 7 All-Star Game, 17.6 ppg, 3.0 apg, 5.1 rpg)


Sul piano individuale la carriera di Worhty non è paragonabile a quella dei primi otto di questa classifica. Può darsi che Worthy si sia trovato al posto giusto nel momento giusto fin dai tempi del college. Vinse il titolo NCAA con North Carolina giocando assieme a Michael Jordan (e Sam Perkins) ma questo non c’entra. Nel 1982 è entrato nella NBA al numero 1 del draft nell’anno in cui sceglievano i Lakers così si è trovato subito in una dinastia generazionale che gli ha permesso di giocare tutta la carriera professionistica al top. Non è stato particolarmente longevo ma avendo giocato fino a giugno inoltrato praticamente ogni anno della sua carriera non è così strano. Worthy è stato il numero tre dei Lakers dello Showtime, forse il numero due nel titolo del 1988 quando fu MVP della Finale vinta 4-3 con i Pistons producendo la sua prima tripla doppia in carriera in gara 7. Era un’ala forte velocissima, tremendo a riempire le corsie e chiudere al ferro. Era fisico e aveva un gran tiro dalla media. Solo due volte è stato All-NBA ma sette volte ha giocato l’All-Star Game. Le vittorie e la finale del 1988 lo spingono più in alto di quanto forse avrebbe meritato. Non è possibile collocarlo davanti a Worthy e fa ridere metterlo davanti a Chamberlain ma ovviamente il riferimento è solo per gli anni di Wilt a Los Angeles.


8 Wilt Chamberlain

(1 titolo, 1 MVP della Finale, 1 All-NBA, 4 All-Star Game, 17.7 ppg, 4.3 apg, 19.2 rpg)


Chamberlain è storicamente il giocatore più difficile da collocare in qualsiasi classifica. Analizzandone la carriera è facile considerarlo il più grande di tutti, pensando ai numeri, i record, i 100 punti in una partita, i 50.4 punti di media in una stagione, il dominio fisico paragonabile solo a quello esercitato da Shaquille O’Neal, con numeri inferiori. I detrattori gli contestano il gioco da solista, il carattere e alla fine puntano l’indice sulle vittorie. Negli anni d’oro, quelli dei record, ha vinto un solo titolo, nel 1967. Tutte queste imprese statistiche, Wilt le ha collezionate tra Philadelphia e San Francisco, prima di arrivare ai Lakers nel 1968. Quando è arrivato a Los Angeles, aveva già imboccato il viale del tramonto. Non era più il vero Chamberlain, era soprattutto un centro fisico, che controllava i rimbalzi. Un top-player (nel 1972 è stato lui l’MVP della Finale), ma non il dominatore d’area precedente. Nei suoi anni ai Lakers è stato solo una volta All-NBA e molti gli attribuiscono la responsabilità della sconfitta di gara 7 nel 1969 e nel 1970 contro un Willis Reed zoppicante a New York. E’ vero che ha giocato tre finali in quattro stagioni, catturato 19.2 rimbalzi di media in un’era in cui però non era inusuale come lo sarebbe oggi e giocato sempre l’All-Star Game. Questo per dire che sarebbe sbagliato sottovalutare il suo impatto ai Lakers nelle ultime quattro stagioni della carriera. Ma mentre trovo davvero complicato identificare una sua posizione nella graduatoria dei più grandi di sempre, non credo che ai Lakers possa essere considerato davanti a Baylor o Worthy (maggiore milizia, più titoli, più finali).


9 Pau Gasol

(2 titoli, 3 All-NBA, 3 All-Star Game, 17.7 ppg, 3.5 apg, 9.9 rpg)


Pau ha “salvato” la seconda parte della carriera di Kobe Bryant e dato un senso alla sua decisione di impossessarsi dei Lakers chiedendo di fatto la cessione di Shaq. Gasol è arrivato a metà della stagione 2007/08 quando i Lakers erano una buona squadra trasformandoli con il suo gioco in post basso, il tiro, la visione di gioco, le braccia lunghe che volevano dire rimbalzi e stoppate, in una immediata contendente per il titolo. Infatti con Gasol, i Lakers hanno giocato tre finali consecutivi, vincendone due. Kobe Bryant era chiaramente il miglior giocatore di quella squadra ma non avrebbe potuto vincere il titolo se non ci fosse stato lui. E’ stato il numero due di quel ciclo. Ma nella storia dei Lakers viene dopo James Worthy.


10 Jamaal Wilkes

(2 titoli, 2 All-Star Game, 18.4 ppg, 2.6 apg, 5.4 rpg)

Ci sono giocatori che incredibilmente hanno scelto la partita sbagliata in cui esplodere. Nella Finale del 1970, Walt Frazier segnò 36 punti con 19 assist consegnando ai Knicks il loro primo titolo ma quella partita rimarrà per sempre quella dell’atto eroico di Willis Reed (in campo zoppicando, due canestri nei primi due possessi in un pandemonio indescrivibile). Nell’immaginario collettivo la partita incredibile di Frazier resta avvolta nella nebbia. A Jamaal Wilkes successe lo stesso nel 1980: quando i Lakers vinsero il titolo in gara 6 a Philadelphia senza Kareel Abdul-Jabbar, lui segnò 37 punti! Ma li segnò nella sera in cui il rookie Magic Johnson ne fece 42! Wilkes ha vinto un titolo da rookie ai Warriors come spalla di Rick Barry poi due a Los Angeles quand’era il numero tre della squadra dopo Magic e Kareem (o viceversa). Può essere considerato il James Worthy della prima edizione dello Showtime. In quelle stagioni a Los Angeles ebbe 18.4 punti di media con 5.4 rimbalzi con due convocazioni per l’All-Star Game. Rispetto a Worthy ha fatto un pochino di meno e in quella squadra c’era anche Norm Nixon a reclamare il ruolo di terza punta. Ma Wilkes era un all-around super, che nel ruolo di ala piccola giocava contro i giocatori di maggior talento della NBA di allora, vedi Larry Bird a Boston, Julius Erving a Philadelphia, Marques Johnson a Milwaukee. Aveva un tiro atipico, un movimento circolare sopra la testa, ma letale.


11 Gail Goodrich

(1 titolo, 1 All-NBA, 4 All-Star Game, 19.0 ppg, 4.2 apg, 3.0 rpg)


Goodrich è stato una delle star più sottovalutate della storia. Ha giocato ai Lakers in due parentesi differenti, vincendo il titolo del 1972 ampliando il proprio ruolo dopo il precoce ritiro a inizio stagione di Elgin Baylor. Goodrich era una guardia mancina, bianco, atletica, da UCLA, che sapeva fare canestro e passare la palla, perfetto per giocare accanto a West e Chamberlain. Era il terzo miglior giocatore di quei Lakers. Storicamente non è apprezzato abbastanza perché il suo nome è eternamente legato ad un episodio negativo: nel 1976 i New Orleans Jazz lo firmarono come free-agent. A quei tempi, in mancanza di accordo tra le squadre, era il commissioner a decidere quale compensazione spettasse al vecchio club (erano free-agency relative). I Jazz, in crisi finanziaria, tirarono un sospiro di sollievo quando Larry O’Brien decise che avrebbero dovuto consegnare ai Lakers la loro prima scelta del 1979. Solo che quella scelta in seguito sarebbe diventata… Magic Johnson. E’ come se i Jazz avessero scambiato Goodrich per Magic. Ovviamente non fu proprio così, ma è vero che Goodrich dopo aver aiutato i Lakers a vincere un titolo sul campo, li ha aiutati a vincerne altri cinque involontariamente (per rendergli giustizia: in tre anni ai Jazz ha segnato 17.6 punti di media con 5.4 assist: nonostante un infortunio che nel primo anno lo limitò a 27 apparizioni, Goodrich fu esattamente il giocatore che New Orleans pensava di aver preso, nulla di meno).

12 Norm Nixon

(2 titoli, 1 All-Star Game, 16.4 ppg, 7.9 apg, 2.7 rpg)


Quando Magic Johnson arrivò a Los Angeles da Michigan State le aspettative erano enormi ma non è che i Lakers gli consegnarono in mano le chiavi della squadra. Nei primi anni – e vinsero due titoli – Magic giocava con un altro point-man a fianco, Norm “The Storm” Nixon (a fine carriera visto a Pesaro). Nixon era giovane, spettacolare, piaceva al pubblico ed era un fuoriclasse. Velocissimo, gran tiratore, personalità. Con Magic sviluppò un rapporto stranissimo: in campo, sotto la cenere covava la rivalità tra il fenomeno nuovo che reclamava la leadership della squadra e il veterano nel pieno della carriera che avvertiva, soffrendolo, l’incalzare del compagno; fuori del campo i due erano protagoniste di clamorose scorribande notturne. Non è chiaro se i Lakers infine decisero di cederlo perché 1) dovevano valorizzare Magic eliminando l’altro point-man per affiancargli un bomber (Byron Scott: uno dei primi grandi scambi di Jerry West da general manager); 2) la rivalità tra i due, qualche volta persino pubblica, era arrivata al punto di non ritorno; oppure 3) Nixon era considerato una figura fuorviante a causa delle sue abitudini di vita fuori del campo. Nondimeno, Nixon era un fenomeno che giocava con due giocatori generazionali e una terza star come Wilkes.

13 Lamar Odom

(2 titoli, 13.7 ppg, 3.7 apg, 9.5 rpg, sesto uomo dell’anno)

Altro giocatore difficile da collocare in questa classifica. Nei Lakers del triennio 2008/2010, due titoli e tre finali consecutive, era il terzo giocatore della squadra dopo Kobe e Pau Gasol, ma è stato uno starter a tempo pieno solo nel primo anno (nelle 21 gare di playoffs il quintetto era Fisher, Kobe, Odom, Gasol e Radmanovic), nel secondo con l’innesto di Andrew Bynum in quintetto lui è diventato il sesto uomo della squadra che aveva normalmente Trevor Ariza da ala piccola; nel terzo anno non c’era più Ariza ma c’era Ron Artest (o Metta World Peace). E l’anomalia conclusiva è che è stato il sesto uomo dell’anno nel 2011 quando quel ciclo dei Lakers volgeva al termine. Dei suoi anni ai Lakers (il top della carriera anche se giocò molto bene a Miami e anzi servì agli Heat per permettere loro di arrivare a Shaq e vincere il titolo del 2006), vanno notati i rimbalzi, davvero tanti per un giocatore più di fioretto, di classe che ruvido. Odom è sempre stato un all-around, non abbastanza affamato di canestri per sprigionare un potenziale formidabile. La sua carriera sarebbe sbagliato definirla incompiuta perché ha vinto, ha giocato ad alto livello, guadagnato tantissimo e confezionato molte stagioni strepitose. Resta solo il dubbio di cosa sarebbe stato se la vita fosse stata più clemente nei suoi confronti o se lui avesse saputo gestire le avversità diversamente.

14 Byron Scott

(3 titoli, 15.1 ppg, 2.8 apg, 3.0 rpg)

Byron Scott è nato a Inglewood, esattamente nel sobborgo di Los Angeles che negli anni ’80 e ’90 ospitava i Lakers, al celebre Faboulos Forum. Quindi era davvero un ragazzo di casa, che aveva frequentato il liceo a Inglewood e fu ottenuto dai Lakers cedendo ai Clippers il “fan favourite” Norm Nixon. Scott, che era andato ad Arizona State, era una guardia pura, un tiratore dalla media fantastico che probabilmente in un’epoca diversa sarebbe stato più importante stendendo il suo raggio di tiro oltre l’arco (2.0 tiri da tre di media in carriera con il 37.7%). L’impresa di Scott fu irrompere in quintetto praticamente fin da rookie. Nel 1987/88, il suo ultimo titolo, segnò 21.7 punti di media (19.6 nei playoffs). Come realizzatore aveva un ruolo vitale, come ricevitore degli scarichi di Magic o dell’attenzione che generavano Kareem (più nel 1985 che nei titoli del 1987 e 1988) e Worthy.

15 AC Green

(3 titoli, 1 All-Star Game, 10.6 ppg, 1.1 apg, 7.7 rpg)


Nella prima versione dello Showtime (1980-1985), i Lakers avevano una sorta di “buco” nella posizione di ala forte. Pat Riley coniò lo slogan “No Rebounds, No Rings” perché il tasso di fisicità della squadra non era all’altezza di quello dei Celtics dei Big Three Bird-McHale-Parish (più inizialmente Cedric Maxwell; nel 1985/86 anche Bill Walton). L’ala forte dei Lakers era Spencer Haywood nel 1980 ma Haywood buttò via la parte più importante della sua carriera e venne tagliato prima del titolo ma nel frattempo aveva già perso il posto di titolare in favore di un giocatore buono ma non trascendentale come Jim Chones. Per migliorare la posizione venne preso Bob McAdoo, nella parte conclusiva della carriera, ma venne impiegato da sesto-settimo uomo e aveva caratteristiche da star che si conciliavano male con un quintetto base ricco di talento e realizzatori. Kurt Rambis fu un’invenzione, uno spaccalegna durissimo che giocava con gli occhiali ed era pronto a fare la guerra contro tutti. Ma il problema venne risolto veramente solo quando arrivò AC Green, che difendeva forte, prendeva i rimbalzi e tirava dalla media, era atletico. Green era uno starter inamovibile della squadra che vinse nel 1987 e 1988, giocò la Finale anche nel 1989 e nel 1991. Poi ritornò a fine carriera e vinse un altro titolo da veterano nel 2000. Green è passato alla storia perché nell’epoca in cui i Lakers erano la squadra più “cool” del mondo, lui predicava la castità e il sesso solo dopo il matrimonio. ESPN ha fatto un documentario sull’atipicità del suo stile di vita dell’epoca.

16 Michael Cooper

(5 titoli, 8.9 ppg, 4.2 apg, 3.2 rpg, 8 All-Defensive)

Il numero di titoli è impressionante. Cooper c’è sempre stato: c’era a Philadelphia quando Magic Johnson si presentò al Mondo e c’era quando i Lakers vinsero due titoli consecutivi nel 1987 e 1988. Il suo ruolo è sempre stato da comprimario, un sesto o settimo uomo atletico, una versione antesignana dei cosiddetti “3 and D” attuali. Piedi per terra segnava. Poi i Lakers correvano e lui era uno che correva e saltava. Non è mai stato una stella ma è stato incluso otto volte nei quintetti All-Defensive della Lega. Difficile anche lui da collocare: in un’altra squadra avrebbe probabilmente avuto una carriera insignificante, di sicuro non così vincente, ma vale per tutti coloro che sono saliti a bordo di una grande dinastia. Nello Showtime, Cooper ha avuto un ruolo importante.


17 Robert Horry

(3 titoli, 6.3 ppg, 2.2 apg, 5.5 rpg)


A livello di numeri la presenza di Robert Horry è persino discutibile ma il “peso” del suo apporto è innegabile. Horry è stato decisivo nei tre titoli vinti cavalcando il dominio fisico di Shaquille O’Neal. I Lakers hanno giocato tre finali relativamente facili in quelle stagioni (record complessivo 12-3, ma una sconfitta, con i Sixers, è stata abbastanza fortuita e ispirata da una prova mostruosa e irripetibile di Allen Iverson), ma nella Western Conference è stato tutto molto diverso. Nel 2002 quando completarono il Three-Peat eliminarono Sacramento in una battaglia di sette gare, dura, polemica e piena di sospetti. Gara 7 venne vinta all’overtime. Gara 6 venne vinta con enormi lamentele sugli arbitri che non si sono spente neppure oggi. In ogni caso i Kings erano avanti 2-1 e dominarono gara 4 a Los Angeles fino all’ultima sequenza quando miracolosamente una stoppata di Divac su Shaq generò un rimbalzo lungo che Horry convertì sulla sirena nella tripla della vittoria. Senza quel canestro, i Lakers non avrebbero mai superato i Kings e vinto quel titolo. Ma la storia di Horry, prima a Houston e dopo a San Antonio, è ricca di canestri decisivi in momenti cruciali. Al di là delle cifre il suo ruolo è innegabile. Nella finale del 2000 contro Indiana, gara 4, ebbe 17 punti decisivi in una vittoria all’overtime con Shaq fuori per falli. Nella finale del 2001 a Philadelphia in gara 3 segnò 12 punti nell’ultimo quarto. Magic l’ha definito uno dei primi 10 “Clutch Players” della storia.



18 Derek Fisher

(5 titoli, 7.9 ppg, 2.9 apg, 2.1 rpg)

Per uno che ha vinto cinque titoli è ironico che il canestro più importante (a San Antonio: 0.4 secondi da giocare) avvia coinciso con un anno in cui i Lakers sono implosi nella finale del 2004 conto Detroit. Fisher ha avuto una grande carriera perché ha accettato i propri limiti e un ruolo da comprimario persino quando ha lasciato i Lakers. È arrivato insieme a Kobe e giocato sulle qualità dei compagni. Point-man fisico, piccolo ma grande tiratore, valorizzato dal triple-post offense. Ovviamente è un altro di quei giocatori che altrove non avrebbero avuto la stessa carriera ma è stato bravo a sfruttare le opportunità.
  
19 Bob McAdoo
(2 titoli, 12.1 ppg, 0.9 apg, 4.4 rpg)

Bob McAdoo ha sostanzialmente finito la sua carriera NBA ai Lakers con un ruolo di secondo piano che aveva ostinatamente rifiutato nelle stagioni precedenti. Per capire McAdoo bisogna ricordare che negli anni di Buffalo aveva trasformato una franchigia debole in una contendente vincendo anche il titolo di MVP del 1975. I suoi problemi sono cominciati quando è stato ceduto a New York trovandosi attorniato di talento ma in squadre afflitte da problemi enormi di chimica. Quando Pat Riley lo volle ai Lakers prese un giocatore con una reputazione pessima. Erano gli anni in cui i Lakers non avevano una chiara risposta per la posizione di ala grande. Con McAdoo, utilizzato dalla panchina per sfruttarne meglio le qualità realizzative, Riley cominciò a costruirsi la fama di supremo motivatore. McAdoo vinse due titoli segnando in doppia cifra media ai Lakers. Non furono stagioni indimenticabili per lui ma diedero un senso ad una carriera altrimenti incompiuta. Probabilmente i Lakers non li avrebbero vinti senza di lui quei titoli quindi la sua è stata una presenza importante.
  
20 Jim McMillian

(1 titolo, 15.3 ppg, 2.3 apg, 5.4 ppg)

Big Mac veniva da New York e aveva rinunciato a UCLA perché temeva di smarrirsi nella dolce vita della California del Sud ma quando i Lakers lo scelsero nei draft non ebbe esitazioni. La sua carriera ai Lakers non è durata tanto ma McMillan ebbe un ruolo fondamentale nella squadra che giocò tre finali vincendo quella del 1972. Quell'anno i Lakers vinsero 33 gare consecutive. Erano la squadra di West e Chamberlain. Poi c'era Gail Goodrich. Lui era il numero 4 ma in pratica fu anche il giocatore scelto per sostituire in quintetto il grande Baylor.



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