Solo i Boston Celtics hanno una storia paragonabile a
quella dei Los Angeles Lakers e un numero di giocatori “storici” competitivo.
Nell’anno in cui vengono ritirate le due maglie di Kobe Bryant e si è discusso,
si discute sul suo ruolo nella storia della franchigia, ho provato a stilare e
analizzare la mia Top 20 dei giocatori gialloviola, escludendo il periodo di
Minneapolis per evidente impossibilità di paragonare i giocatori di quell’epoca
alle successive e la totale mancanza di immagini che avrebbero potuto aiutare a
farsi un’idea almeno stilistica (di Jerry West e Elgin Baylor qualcosa esiste e
in più hanno giocato con e contro giocatori di generazioni più familiari, nei
primi anni ’70). Ovviamente sono classifiche soggettive, che lasciano il tempo
che trovano, non vogliono dimostrare nulla, sono opinabili ma proprio per
questo sono sempre state fatte e sempre verranno fatte.
Visto che siamo nel regno dell’impossibile, sarebbe bella
una partita tra i Top 10 dei Celtics e i Top 10 dei Lakers. Immaginate i
match-up iniziali: Bob Cousy, John Havlicek, Larry Bird, Kevin Garnett, Bill
Russell contro Magic Johnson, Jerry West, Kobe Bryant, Elgin Baylor e Kareem
Abdul-Jabbar. Dalla panchina: Sam Jones, Ray Allen, Paul Pierce, Kevin McHale,
Dave Cowens, Robert Parish per i Celtics; Norm Nixon, Jamaal Wilkes, James
Worthy, Shaquille O’Neal e Wilt Chamberlain per i Lakers.
Ecco i primi quattro in
ordine inverso della mia classifica.
20 Jim
McMillian
(1
titolo, 15.3 ppg, 2.3 apg, 5.4 ppg)
Big Mac veniva da New York e aveva rinunciato a UCLA
perché temeva di smarrirsi nella dolce vita della California del Sud ma quando
i Lakers lo scelsero nei draft non ebbe esitazioni. La sua carriera ai Lakers non
è durata tanto ma McMillian ebbe un ruolo fondamentale nella squadra che giocò
tre finali vincendo quella del 1972. Quell'anno i Lakers vinsero 33 gare
consecutive. Erano la squadra di West e Chamberlain. Poi c'era Gail Goodrich.
Lui era il numero 4 ma in pratica fu anche il giocatore scelto per sostituire
in quintetto il grande Baylor.
19 Bob
McAdoo
(2
titoli, 12.1 ppg, 0.9 apg, 4.4 rpg)
Bob McAdoo ha sostanzialmente
finito la sua carriera NBA ai Lakers con un ruolo di secondo piano che aveva
ostinatamente rifiutato nelle stagioni precedenti. Per capire McAdoo bisogna
ricordare che negli anni di Buffalo aveva trasformato una franchigia debole in
una contendente vincendo anche il titolo di MVP del 1975. I suoi problemi sono
cominciati quando è stato ceduto a New York trovandosi attorniato di talento ma
in squadre afflitte da problemi enormi di chimica. Quando Pat Riley lo volle ai
Lakers prese un giocatore con una reputazione pessima. Erano gli anni in cui i
Lakers non avevano una chiara risposta per la posizione di ala grande. Con
McAdoo, utilizzato dalla panchina per sfruttarne meglio le qualità
realizzative, Riley cominciò a costruirsi la fama di supremo motivatore. McAdoo
vinse due titoli segnando in doppia cifra media ai Lakers. Non furono stagioni
indimenticabili per lui ma diedero un senso ad una carriera altrimenti
incompiuta. Probabilmente i Lakers non li avrebbero vinti senza di lui quei titoli
quindi la sua è stata una presenza importante.
18 Derek
Fisher
(5
titoli, 7.9 ppg, 2.9 apg, 2.1 rpg)
Per uno che ha vinto cinque titoli
è ironico che il canestro più importante (a San Antonio: 0.4 secondi da
giocare) avvia coinciso con un anno in cui i Lakers sono implosi nella finale
del 2004 conto Detroit. Fisher ha avuto una grande carriera perché ha accettato
i propri limiti e un ruolo da comprimario persino quando ha lasciato i Lakers.
È arrivato insieme a Kobe e giocato sulle qualità dei compagni. Point-man
fisico, piccolo ma grande tiratore, valorizzato dal triple-post offense.
Ovviamente è un altro di quei giocatori che altrove non avrebbero avuto la
stessa carriera ma è stato bravo a sfruttare le opportunità.
17 Robert
Horry
(3
titoli, 6.3 ppg, 2.2 apg, 5.5 rpg)
A livello di numeri la presenza di Robert Horry è
persino discutibile ma il “peso” del suo apporto è innegabile. Horry è stato
decisivo nei tre titoli vinti cavalcando il dominio fisico di Shaquille O’Neal.
I Lakers hanno giocato tre finali relativamente facili in quelle stagioni
(record complessivo 12-3, ma una sconfitta, con i Sixers, è stata abbastanza
fortuita e ispirata da una prova mostruosa e irripetibile di Allen Iverson), ma
nella Western Conference è stato tutto molto diverso. Nel 2002 quando
completarono il Three-Peat eliminarono Sacramento in una battaglia di sette
gare, dura, polemica e piena di sospetti. Gara 7 venne vinta all’overtime. Gara
6 venne vinta con enormi lamentele sugli arbitri che non si sono spente neppure
oggi. In ogni caso i Kings erano avanti 2-1 e dominarono gara 4 a Los Angeles
fino all’ultima sequenza quando miracolosamente una stoppata di Divac su Shaq
generò un rimbalzo lungo che Horry convertì sulla sirena nella tripla della
vittoria. Senza quel canestro, i Lakers non avrebbero mai superato i Kings e
vinto quel titolo. Ma la storia di Horry, prima a Houston e dopo a San Antonio,
è ricca di canestri decisivi in momenti cruciali. Al di là delle cifre il suo
ruolo è innegabile. Nella finale del 2000 contro Indiana, gara 4, ebbe 17 punti
decisivi in una vittoria all’overtime con Shaq fuori per falli. Nella finale
del 2001 a Philadelphia in gara 3 segnò 12 punti nell’ultimo quarto. Magic l’ha
definito uno dei primi 10 “Clutch Players” della storia. (1-continua)
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