lunedì 17 luglio 2017

NBA Finals 1991: la prima volta di Michael Jordan



Dopo l’eliminazione da parte di Detroit in sette partite nel 1990, il livello di frustrazione di Michael Jordan toccò il punto più alto (o più basso, dipende dai punti di vista) della sua prima carriera, quella senza vittorie. Nel parcheggio del Palace, quella notte triste, incontrò Jack McCloskey, general manager dei Pistons, e quasi in lacrime gli domandò se secondo lui avrebbe mai vinto un titolo. McCloskey era stato il costruttore dei Pistons, ma sapeva che i Bulls stavano arrivando. Li aveva visti crescere e farsi ogni anno più minacciosi. “Il tuo momento sta per arrivare – rispose – E prima di quanto pensi”. Fu buon profeta. I Bulls persero gara 7 nel 1990 ma era il loro primo anno con Phil Jackson capoallenatore, il primo anno in cui la squadra impiegò il famoso “Triple Post Offense” o attacco triangolo, ideato o meglio sarebbe dire elaborato dal vecchio assistente Tex Winter anni prima, quando allenava Kansas State.

Winter era stato assunto dai Bulls all’arrivo di Jerry Krause, suo buon amico, che lo considerava, giustamente, una specie di genio del basket. Il suo rapporto con Coach Doug Collins però non decollò mai in gran parte per il rifiuto da parte del coach di impiegare l’elaborato attacco proposto dal suo anziano assistente. Ma quando Phil Jackson fu promosso, il Triangolo diventò immediatamente l’attacco dei Bulls. Jackson voleva un basket collettivo, non totalmente dipendente da Michael Jordan, voleva il “Triple Post Offense”, un sistema in cui i giocatori si dispongono in modo tale da costruire sul lato del campo in cui c’è la palla (lato forte) un triangolo. Il giocatore con il pallone è sempre in grado di tirare, passare la palla ad un compagno collocato su un altro vertice del triangolo o palleggiare. E’ un attacco basato sul movimento, sul riempimento dei vertici dell’ipotetico triangolo, sulla circolazione della palla. Non è un attacco per solisti né un attacco statico. Il problema è che i movimenti sono dettati dagli stessi giocatori o dalla reazione della difesa, non è un attacco rigido, programmato, schematico. Il che significa che è necessario del tempo perché tutti i meccanismi vadano a posto e che servono giocatori particolari, molto duttili e e intelligenti, per applicarlo. Krause negli anni si sarebbe dimostrato eccezionale nel trovare le pedine giuste.
In teoria, il Triangolo avrebbe dovuto ridurre le possibilità realizzative di Jordan, per distribuire compiti e responsabilità. Non a caso per almeno un anno e mezzo fu difficile farlo digerire a Michael: lo aveva etichettato come “l’attacco delle pari opportunità”. Ma con il tempo, la qualità dell’esecuzione del Triangolo andò migliorando e Jordan imparò ad apprezzare il sistema. E’ probabile che la rifinitura del gioco abbia prodotto risultati conclusivi diversi da quelli che si aspettavano gli stessi Jackson e Winter. Phil pensò che Jordan avrebbe dovuto rinunciare a vincere la classifica dei marcatori per vincere il titolo NBA. In verità Michael riuscì a giocare dentro il triangolo senza sacrificare il proprio enorme talento, così i risultati sono stati addirittura superiori al preventivato. Soprattutto all’inizio, nei possessi di palla finali, accadeva che Jordan prendesse la partita in mano ignorando il Triangolo e i compagni. Altre volte fu udito chiedersi a voce alta, magari dopo una sconfitta, cosa avesse mai vinto Tex Winter con il suo maledetto Triangolo. Ma anche Jordan si era reso conto che la squadra che i Bulls stavano costruendo era forte tecnicamente e atleticamente.
Dopo aver perso gara 7 contro i Pistons nel 1990 piuttosto si era domandato se fosse anche forte mentalmente. Impiegò un po’ di tempo per dimenticare l’emicrania di Scottie Pippen, la sua terribile prestazione, il fatto che ci vedesse doppio e fosse stato sul punto di non giocare la partita più importante dell’anno (quando chiesero a Scottie se se la sentisse, fu Jordan a intervenire e rispondere per lui, perché Pippen in realtà stava per tirarsi indietro). 



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