Malcolm Kerr era nato in Libano da genitori americani, che insegnavano all’Università Americana. Studiò negli Stati Uniti ma fu sempre a Beirut che conobbe Ann, la futura moglie, anche lei figlia di diplomatici statunitensi. Steve nacque a Beirut nel 1965, ma poi visse con i genitori in Tunisia e in Francia, poi a Los Angeles perché il padre accettò di insegnare a UCLA. “Mi hanno mostrato un mondo che per molti miei coetanei americani non esisteva neppure”, disse Kerr. Nel suo primo anno di liceo, Steve viveva in Egitto, a Il Cairo. L’anno seguente ritornò a Los Angeles.
Quando lui era senior al liceo, a Pacific Palisades, Malcolm
Kerr si trasferì di nuovo in Libano. Il lavoro dei suoi sogni, Presidente di
UAB, era diventato suo. Steve restò a casa per coronare il sogno di giocare in
un college di Division One. Pensava di andare a Gonzaga ma in un torneo estivo,
John Stockton lo asfaltò e gli Zags ritirarono la proposta. Kerr pensò di pagarsi
i propri studi a Colorado ma in un altro torneo fece bella figura e ottenne
l’offerta di Cal State-Fullerton oltre ad un certo interesse di Olson, appena
arrivato ad Arizona. Ma i Wildcats non chiamarono e Steve era pronto per
emigrare nella campagna californiana.
Ma c’era qualcosa che non convinceva il padre. Steve non era
contento. Immaginava una squadra migliore, una conference più quotata. Pensava
ancora ad Arizona. Malcolm Kerr alzò il telefono. Era un uomo importante.
Chiese a Olson se potesse esserci un posto per il figlio. Steve non era
atletico e non era veloce. Non era neanche un gran difensore. Ma aveva dentro
qualcosa. Fiducia, irriverenza, coraggio. Olson aveva una borsa di studio in
attesa di collocazione. Per un anno l’avrebbe data a Steve Kerr. Malcolm spedì
il figlio a Tucson e tornò a Beirut. Non si sarebbero più visti.
Kerr rimase quattro anni ad Arizona. Da senior, prima di un
derby in trasferta ad Arizona State, dalla sezione degli studenti locali si
levò un canto lugubre inneggiante all’omicidio del Professor Kerr. Steve ebbe
un attimo di smarrimento, si sedette in panchina, si riprese e segnò sei
triple. Ricevette una lettera di scuse. Un anno e mezzo prima aveva già vissuto
un altro dramma. Faceva parte della Nazionale americana ai Mondiali spagnoli
del 1986. Olson era il coach. David Robinson la stella. Durante il torneo si
ruppe un ginocchio e perse un anno. Ma si rialzò ancora una volta. Quello che
non ti uccide ti rende più forte.
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