lunedì 3 aprile 2017

San Antonio Spurs: dietro venti anni di vittorie (All in One)

I San Antonio Spurs hanno superato la soglia delle 50 vittorie, che nella concezione NBA rappresenta l'eccellenza assoluta, per il 18° anno consecutivo. Il segnale è fortissimo perché nessuno aveva mai avuto una striscia così lunga e poi perché è il primo anno che questo avviene senza Tim Duncan, il volto della franchigia dal 1997 al 2016 ininterrottamente. Siamo persino oltre il livello di dinastia. In questo arco di tempo i Lakers hanno vinto gli stessi titoli (cinque) e giocato una Finale in più (sette contro sei) ma qui parliamo di una costanza di rendimento sconvolgente.
L'unica cosa che non hanno fatto in questi venti anni è stata vincere due titoli consecutivi. Perché non ce l'abbiano fatta francamente è inspiegabile. Nel 2013 andarono a un miracolo di Ray Allen o un rimbalzo difensivo dal titolo. Ma non possiamo sapere se - avessero vinto quel titolo - avrebbero poi vinto quello del 2014. Di sicuro vinsero nel 2005 e nel 2007 perdendo nel 2006 una serie rocambolesca con Dallas alla settima partita in casa. Forse quella fu la loro migliore chance di vincere due o  tre volte di fila il titolo.
Analizzare questa striscia, che potrebbe anche proseguire, forse è meno facile di quanto si pensi. Per qualche motivo, collocazione geografica, stile di gioco, personalità dei singoli, in generale gli Spurs sono stati meno vivisezionati di quanto avrebbero meritato. Non hanno bucato lo schermo perché il loro giocatore più rappresentativo, Tim Duncan, è sempre stato un giocatore solido, The Big Fundamental, non spettacolare. Il marchio di fabbrica era il tiro dalla media di tabellone. Non proprio il fade-away di Kobe, la potenza di Shaq, la squassante onnipotenza di LeBron. Sono stati anche sempre privi di quelle controversie interne o di giocatori esplosivi fuori del campo che paradossalmente amplificano la popolarità di una squadra. Niente dualismo Kobe-Shaq. Niente Dennis Rodman (ce l'avevano e lo mandarono via, di fatto permettendo ai Bulls di vincere i loro secondi tre titoli) o Draymond Green ad esempio. Hanno avuto Stephen Jackson ma per poco tempo. Il loro giocatore più intrigante è stato forse Manu Ginobili: fantasioso, creativo,  e sposato con la fidanzata di Bahia Blanca e con figli bellissimi. L'apoteosi del ragazzo perfetto. Ma pur sempre un giocatore da 13.6 punti di media in carriera, partito dalla panchina nel 60% abbondante delle partite che ha giocato.
Inciso: Ginobili ha sacrificato molto del proprio ego per le vittorie di squadra. Non ha mai toccato i 20 di media ma giocando in una squadra differente non c'è dubbio che individualmente avrebbe avuto una carriera molto più esplosiva. Tuttavia avrebbe vinto di meno. E Ginobili nella sua vita inclusa l'esperienza di Bologna e inclusa la Nazionale ha vinto un'enormità. Se Tim Duncan e David Robinson sono i padri fondatori della cultura degli Spurs, Ginobili e Tony Parker sono i primi depositari della "Verità".
Ci sono state credo solo tre situazioni non cestistiche da prima pagina in questi anni. Il divorzio dalla moglie di Duncan con accuse da cronaca rosa; la love-story di Parker con Eva Longoria e poi il triangolo sentimentale che coinvolse Parker, Brent Barry e la moglie di quest'ultimo. Eppure gli Spurs sono riusciti a mantenere tutti questi episodi dentro i confini di una accettabile riservatezza.
I cinque capisaldi della dinastia degli Spurs: 1) fortuna; 2) continuità; 3) scouting; 4) programmazione; 5) credibilità. Possiamo riunirli come dicono loro sotto la voce Cultura.

La fortuna - Ovviamente la fortuna va aiutata. Nel 1996/97 gli Spurs hanno fatto tanking elegante quando la pratica non era ancora di moda. L'ho ricordato altre volte: David Robinson giocò solo sei partite, Sean Elliott venne fermato per motivi di salute e una squadra da 50 vittorie facili venne relegata in Lotteria.
C'è anche un altro aspetto da menzionare: le sconfitte consentirono a Gregg Popovich- all'epoca general manager del club - di licenziare Bob Hill e autonominarsi capo allenatore. Una mossa corretta alla luce dei fatti ma aspramente criticata ai tempi. Bisogna ricordare che Hill venne licenziato quando Robinson sembrava pronto a rientrare, che agli Spurs aveva 121-43 in due anni (!) e che Popovich non era mai stato capo allenatore nella NBA ma solo dell'insignificante Pomona-Pitzer  College (Popovich fino al primo titolo è stato considerato perennemente in bilico). Queste mosse audaci sbatterono gli Spurs in Lotteria. La fortuna fece il resto.
Gli Spurs vinsero 20 partite ma Vancouver e Boston ne vinsero di meno e avevano maggiori probabilità di assicurarsi la prima chiamata. Se Duncan fosse finito a Boston, Rick Pitino sarebbe forse diventato il più grande coach della storia combinando NCAA e NBA; se fosse finito a Vancouver è probabile che i Grizzlies non avrebbero mai lasciato il Canada e non sarebbero mai andati a Memphis.
Inciso: i Celtics al 3 presero Chauncey Billups (al 6 Ron Mercer) e Vancouver al 4 prese il playmaker Antonio Daniels. Il numero 2 del draft fu Keith Van Horn.
In altre parole tutto è nato con una serie di mosse spietate e forse non del tutto etiche. Poi la fortuna ci ha messo del suo. Sarebbe successo altre volte in futuro con giocatori rivelatisi migliori del previsto (Ginobili fu preferito a Gordan Giricek ma non erano tutti d'accordo agli Spurs) o con affari mancati come il tentativo estremo di prendere Jason Kidd dopo la Finale del 2003, una mossa che se fosse andata in porto avrebbe cambiato la storia ma nessuno può dire se in meglio o peggio. Kidd aveva 31 anni. Parker forse se ne sarebbe andato. Senza dimenticare che nel 2000 Duncan era andato ad un passo dal firmare con Orlando insieme a Grant Hill. Se l'avesse fatto - fu David Robinson a sventare la defezione - gli Spurs non sarebbero mai diventati ciò che conosciamo.

La continuità e il coaching - Gregg Popovich è stato allenatore e di fatto il leader della franchigia per tutta la durata dell'era Duncan. In questi venti anni gli Spurs hanno affinato la loro organizzazione ed efficacia. Laddove Duncan era stato preso con un colpo di audacia e fortuna, le successive star sono arrivate grazie alla qualità dello scouting e la programmazione.
Ma Kawhi Leonard che nelle parole di Popovich vale quanto i più grandi giocatori della storia è stato preso con il numero 15 del draft, un diritto di scelta ottenuto scambiando a Indiana un buon giocatore come George Hill (scambio a posteriori tra i più sbilanciati della storia).
Nei ventuno anni alla guida della franchigia, Popovich ha avuto come braccio operativo RC Buford, due volte manager dell'anno. La continuità ha permesso di costruire un'identità. Solo che lo stile di gioco si è evoluto con gli anni e il personale a disposizione. Questo è stato il grande merito di Popovich. San Antonio ha vinto con le Twin Towers, con la brutalità di Bruce Bowen e poi si è evoluta attorno alla creatività di Parker e soprattutto di Ginobili per finire con le due straordinarie dimensioni di Leonard, il miglior attaccante tra tutti i grandi difensori della Lega o il miglior difensore tra tutti i grandi attaccanti.
Altro inciso: solo Michael Jordan e Hakeem Olajuwon sono stati difensori dell'anno e MVP della Finale, oltre a Leonard.
Kawhi - nato come difensore e con un'evoluzione da tiratore dagli angoli - adesso è uno strepitoso attaccante di pick and roll, un passatore di qualità, senza aver perso nulla delle sue doti difensive, quelle che costringono gli avversari a rinunciare ai giochi per l'attaccante marcato da lui. Come succede nel football quando gli attacchi non lanciano mai la palla dove difende un cornerback insuperabile tipo Deion Sanders una volta e Darrell Revis adesso.
Tanti giocatori hanno vissuto a San Antonio le loro stagioni migliori ma pochi hanno lasciato il club. Gli Spurs non perdono le loro stelle e non le scambiano. E in questi anni sono stati implacabili nella scelta dei comprimari. Come erano i Lakers di Jerry West (vedi acquisizioni di Bob McAdoo, AC Green, Mychal Thompson), i Bulls di Jerry Krause che costrui due squadre da three-peat accanto a due soli giocatori, Jordan e Scottie Pippen circondandoli con John Paxson, BJ Armstrong, Scott Williams, Horace Grant e successivamente con Ron Harper, Steve Kerr, Toni Kukoc, Luc Longley e Dennis Rodman. San Antonio ha tratto tanto da Robert Horry e Michael Finley, da Mario Elie, Malik Rose, Stephen Jackson e Bruce Bowen fino ad arrivare a Brent Barry, DeJuan Blair, Cory Joseph, Boris Diaw, Tiago Splitter, Patty Mills e infine portando la qualità dello scouting ad un livello inaudito come dimostrano Dewayne Dedmon (centro titolare!) o Jonathon Simmons e Kyle Anderson.
Nella storia della Lega le grandi dinastie sono sempre state identificate da un binomio allenatore-stella più general manager. Immutabili. Red Auerbach e Bill Russell. Pat Riley e Magic Johnson con Jerry West. Phil Jackson e Michael Jordan con Jerry Krause. Solo che Popovich non ha avuto solo Duncan come riferimento. Parker è stato MVP della Finale del 2007 e Leonard del 2014. Ginobili poteva esserlo nel 2005. Ora Duncan non c'è più ma il livello della squadra è lo stesso di sempre. Kawhi Leonard è il nuovo leader, Parker e Ginobili rappresentano la cultura. LaMarcus Aldridge e Pau Gasol sono il frutto della credibilità raggiunta attraverso la continuità e la programmazione.

Lo scouting - La prima operazione di Gregg Popovich agli Spurs fu chiamare RC Buford come responsabile dello scouting ma di fatto l'ex assistente di Larry Brown a Kansas diventò il vero general manager del club nel momento stesso in cui Popovich assunse la carica di capo allenatore. Nel 2002 il suo ruolo è stato certificato. Buford ha messo al  segno numerose, brillanti operazioni di mercato, alcune già citate. Vedi lo scambio per Kawhi Leonard, ovvero l'apoteosi della sua carriera. O la firma di free-agent funzionali o addirittura decisivi come LaMarcus Aldridge o Pau Gasol per citare gli ultimi.
Ma è nello scouting, nella scoperta dei giocatori sottovalutati che ha dato il meglio. Nonostante gli investimenti che ogni club NBA esegue per non sbagliare le scelte, nonostante il tentativo crescente di ridurre l'impatto del giudizio umano nelle valutazioni, le squadre NBA continuano a sbagliare. Chi sbaglia meno ha un vantaggio importante. E chi non sbaglia praticamente mai? Gli Oklahoma City Thunder non hanno mai sbagliato una scelta o uno scambio da quando il general manager è Sam Presti tranne una volta. Ma cedere James Harden è stato un errore colossale. Forse quel giorno hanno cominciato a perdere anche Kevin Durant. Agli Spurs non è mai successo. Eppure dopo Duncan non hanno mai più scelto prima del numero 15 e hanno potuto farlo sacrificando George Hill. Non hanno mai avuto una chiamata che appartenesse a loro migliore della 20! In base a ogni concetto di moda ma anche per la logica scegliere per venti anni fuori dalle prime 19 posizioni non può portare a nulla di duraturo. Non è stato così a San Antonio.
Ecco cos'ha fatto Buford con il suo staff dal 1999 in poi in operazioni legate al draft.
Nel 1999 con il numero 57 del draft scelse Manu Ginobili. Per capire che attesa ci fosse attorno a lui: seppe di essere stato scelto con un giorno di ritardo. Ginobili sarebbe diventato una delle migliori seconde scelte della storia e uno dei più grandi sesti uomini mai visti. Avrebbe esportato lo Eurostep che inizialmente sembrava illegale e non era capito dagli arbitri. Dwyane Wade e James Harden in qualche modo hanno sviluppato un tipo di gioco simile al suo. In quel draft di alto livello vennero scelti Elton Brand all'1, Steve Francis al 2, Baron Davis al 3, Lamar Odom al 4, Rip Hamilton al 7, Shawn Marion al 9 e Andrei Kirilenko al 24. Sarebbe interessante rifare quel draft oggi. Ginobili guadagnerebbe non meno di 50 posizioni.
Nel 2001 al numero 27 Buford/Popovich/San Antonio scelsero Tony Parker. Fu il draft di Pau Gasol al 3, Joe Johnson al 10 e Zach Randolph al 19. Parker oggi non andrebbe oltre il 4 ed è dubbio che Johnson e Randolph verrebbero chiamati prima di lui. In ogni caso al  27 fu un furto simile a quello operato con Ginobili.
Altre operazioni minori: nel 2002 fu scelto al 55 Luis Scola (la sua riluttanza ad andare nella NBA infine spinse gli Spurs a cederlo a Houston per due giocatori che avrebbero dimostrato ulteriormente la loro capacità di leggere il mercato europeo: Spanoulis e DeColo); nel 2004 hanno preso al 28 Beno Udrih che per due anni ha fatto il cambio di Parker vincendo il titolo del 2005. Alla stessa posizione numero 28 hanno preso nel 2005 Ian Mahinmi e nel 2007 Tiago Splitter che sarebbe arrivato nel 2010 dando a Popovich cinque anni con 151 presenze in quintetto.
Gli Spurs hanno scelto nel 2008 Goran Dragic al 45 cedendolo in cambio di quelli che sarebbero stati i diritti su DeJuan Blair che ha dato quattro anni e 186 presenze in quintetto. Nel 2008 scelsero al 26 George Hill che fece tre anni di qualità a San Antonio ed era uno dei giocatori preferiti da Popovich. Venne poi usato per avere con il 15 da Indiana addirittura Kawhi Leonard. Hill oggi s Utah è una combo-guard tra le più apprezzate ma gli Spurs l'hanno trasformato in Kawhi Leonard! Non solo: da quella trade hanno ricavato anche Davis Bertans, oggi apprezzabile rookie della rotazione. Nel 2011 scelsero al 29 Cory Joseph. Quando questi da free-agent se ne andò a Toronto poterono evitare di strapagarlo perché nel frattempo avevano già coltivato Patty Mills che dopo due anni mediocri a Portland era finito fuori dalla Lega. Mills oggi è ancora un eccellente membro del secondo quintetto, è stato capocannoniere di un Mondiale e pedina chiave della Nazionale australiana alle ultime Olimpiadi. L'ultimo colpo è stato Kyle Anderson, esterno da fine primo giro che è già competitivo.
Sul mercato dei reietti hanno fatto ancora meglio: presero Boris Diaw che era stato tagliato da Charlotte e gli diedero un ruolo chiave nel titolo del 2014; presero Mills che era stato in Cina nel 2011; presero Marco Belinelli da free-agent ricavandone le migliori annate della carriera e il titolo del 2014 nel quale fu eccellente gregario; hanno preso Jonathon Simmons tra gli undrafted e tramutato Dewayne Dedmon in un centro affidabile dopo che tre squadre l'avevano avuto e cacciato (Golden State, Philadelphia e Orlando). Ma il capolavoro resta Danny Green, undrafted da North Carolina e lanciato come tiratore da 40.2% in carriera, difensore stellare, prima utilizzato in versione low-cost e poi esteso per un accordo da 40 milioni che somiglia sempre di più ad un altro furto.

La programmazione e la credibilità  - Gli Spurs non si sono mai fatti trovare impreparati. La leadership è passata fisiologicamente da David Robinson a Tim Duncan a Kawhi Leonard. Il supporting cast è stato costantemente corretto e ringiovanito. Quando venne scelto Leonard, Popovich pensava di avere in mano un Bruce Bowen al quadrato perché più alto, più atletico, con braccia lunghe e mani enormi. Ha superato le sue stesse aspettative. Ma quello che molti hanno sottovalutato è la qualità dello staff che ha sostenuto Popovich e Buford in questi anni. Il DNA degli Spurs è dappertutto. Hanno lavorato a San Antonio allenatori come Mike Budenholzer, Mike Brown, Brett Brown, Monty Williams (che ora è tornato), dirigenti come Sam Presti, Dell Demps, Danny Ferry, Sean Marks.
Chip Engelland, lo shooting coach, è considerato il migliore del mondo. Il suo lavoro ha svoltato le carriere di Tony Parker e Kawhi Leonard ad esempio. Lo sviluppo dei giocatori è uno dei capisaldi della Cultura degli Spurs come la qualità dello staff (ha lavorato agli Spurs anche PJ Carlesimo, adesso Ettore Messina)
Continuità, consistenza e programmazione hanno portato il livello di credibilità degli Spurs così in alto da farli diventare l'unico club espressione di un mercato di medie dimensioni e di una città di provincia competitiva sul mercato dei free-agent. LaMarcus Aldridge ha preferito San Antonio ai Lakers e ai Knicks. Pau Gasol è un altro esempio. E nessuno ha mai pensato di andarsene e nessuno se n'è mai andato volentieri.
Programmazione significa non solo aver evitato che il ritiro dei vari Elliott e Robinson e adesso Duncan e poi Ginobili avesse effetti catastrofici. Ha permesso che gli Spurs potessero portare i contratti di queste figure storiche a scadenza facendo della lealtà una bandiera. L'hanno fatto i Lakers con Kobe Bryant ma pagando tantissimo in termini di risultati.
Programmazione significa che gli Spurs non si sono mai fatti trovare con i pantaloni calati quando il basket ha svoltato verso velocità, atletismo, cambi sistematici e tiro da tre. E sono stati sempre all'avanguardia non solo nello scouting in generale ma nella valorizzazione del filone europeo. Molto prima che diventasse di pratica comune. Ginobili, Parker, Nesterovic, Udrih, Tiago Splitter, Nando De Colo, Davis Bertans sono stati tutti presi in Europa. Gli Spurs hanno scelto anche Luis Scola e Goran Dragic, hanno vinto con Marco Belinelli e Boris Diaw, hanno avuto Hedo Turkoglu.
Tutti questi concetti compongono quella che a San Antonio viene chiamata Cultura. Non in senso astratto, ma come sommatoria di tante cose differenti. Cultura del lavoro, dell'aggiornamento, del progresso. Cultura dello sviluppo del personale, di chi va in campo e di chi aiuta chi va inbcampo. Cosi sono nati venti anni di successi o 18 stagioni da 50 vittorie.

Nessun commento: