martedì 2 agosto 2016

Draymond Green, la linea sottile che lo separa da Dennis Rodman


Quando parla Draymond Green è una persona articolata, che elabora e non ha problemi ad assumersi le proprie responsabilità. Ma ci sono dei limiti al perdono e verrà presto il giorno in cui persino i Golden State Warriors dovranno porsi delle domande se ogni notizia riguardante Green continuerà ad essere una brutta notizia.
Green è un grande giocatore, unico nel suo genere, un'ala forte sottodimensionata che fisicamente non va sotto contro nessuno anche quando gioca centro, può portare palla, passarla e tirare da tre. Gara 7 della Finale NBA è stata la più grande partita della sua carriera. Avrebbe meritato di vincerla. Green è stato una seconda scelta: i Warriors nello stesso draft puntarono tutto su Harrison Barnes e al numero 30 gli preferirono Festus Ezeli. Furono bravi a sceglierlo ma quando chiami qualcuno al numero 35 ed è il terzo giocatore che scegli non puoi raccontare di aver visto cose che gli altri non avevano visto. Rapidamente, il centro sovrappeso di Michigan State, è diventato un "point forward" multidimensionale che ha costretto tutte le squadre NBA a cercare un modo per neutralizzare la sua presenza e quello che significa in un quintetto "small".

Una volta il coach Steve Kerr disse a Green di non preoccuparsi dopo una sfuriata, del giocatore non di Kerr. Non vorrebbe mai che Green si contenesse perché il suo temperamento è ciò che l'ha reso Green. Lo scorso inverno fece una piazzata in spogliatoio a Oklahoma City che venne udita da tutti. Poi i Warriors rimontarono e vinsero al supplementare. Fu la partita del canestro da tre di Stephen Curry da 10 metri almeno. L'agonismo di Green, una caratteristica che evidentemente lo accompagna dappertutto, è una delle ragioni della sua esplosione.
Ma adesso sta diventando un problema.
Green ha sferrato un calcio a Steven Adams durante la finale di conference contro i Thunder. Possiamo parlare per ore e i Warriors, sull'onda dell'episodio, hanno recitato la parte sottolineando tante cose che non provavano la volontarietà del gesto. Ma basta vederlo una volta per capire che il calcio era voluto. Green se la cavò a buon mercato e comunque la sua sospensione sarebbe stata ininfluente. Non avrebbe dovuto giocare gara 4 che Golden State ha perso comunque. La rimonta da 1-3 è cominciata in gara 5 e quella l'avrebbe giocata comunque (fatta salva una sospensione di due gare che comunque sarebbe stata inusuale).
Ma da quell'episodio non ha imparato moltissimo: non è fuori luogo sostenere che Green se è stato decisivo nel titolo vinto nel 2015 lo è stato altrettanto in quello perso nel 2016. La sua sospensione sul 3-1 Warriors non sarà stata risolutiva ma di sicuro - non solo per colpa sua - ha avuto un peso. Come dice Pat Riley i playoffs sono una questione di "sopravvivere e avanzare". Ogni giorno può riservare una novità, una svolta inattesa. Quando Green prendendosela con LeBron si è guadagnato infine la sospensione in gara 5 ha imparato a sue spese che le gerarchie nella NBA contano. Un calcio a Steven Adams è grave, un diverbio con LeBron lo è di più. La squalifica di Green ha permesso ai Cavaliers di vincere gara 5 e "sopravvivere". In quella gara 5, Andrew Bogut si è infortunato e i Warriors hanno affrontato ancora menomati gara 6 e 7. I Warriors dovevano chiudere la Finale in casa, in gara 5. Non l'hanno fatto, principalmente a causa dell'assenza di Green. E hanno aperto la porta ai Cavaliers. Non tieni in vita LeBron James (e penso valga anche per Kyrie Irving) senza pagarlo.
Di fatto i Warriors sono stati una delle rare finaliste riusciti nell'impresa di perdere un titolo nonostante fossero la squadra più forte. In una serie di sette partite è raro che vinca la squadra meno forte. In Finale non succede quasi mai. Ricordo i Celtics del 1984 contro i Lakers, forse i Lakers dell'88 contro Detroit (ma la differenza era minima e avevano il vantaggio del fattore campo), poi si salta ai Mavericks del 2006 contro Miami e forse, forse, Miami 2011 contro Dallas.
Ma Green non ha finito: non puoi stare a pensare a 26 anni se il tuo temperamento sia costato o meno il titolo alla tua squadra, non quando fai una tripla doppia in gara 7 e vieni lasciato a piedi da Stephen Curry e Klay Thompson nel giorno più importante della stagione.
Però puoi evitare di prendere a pugni un giocatore di football di Michigan State e finire arrestato. Puoi anche avere ragione ma devi riconoscere la tua posizione e le ripercussioni negative del gesto. C'è chi ha chiesto di eliminare Green dalla squadra olimpica ma sarebbe stata un'ingiustizia. In confronto a questo episodio, la foto del pene postato su Snapchat, giustificata prima con l'intervento di un hacker e poi con un errore umano, ovviamente, rappresenta una banalità. Ma perl'ennesima volta l'ha ricondotto alla ribalta per i motivi sbagliati.
Finora Green se l'è cavata sempre a buon mercato. Ha la pelle dura, può resistere a molto. E sa esprimersi, quindi è sempre molto convincente. Ma oggi sembra un giocatore che in campo cammina sempre sul filo sottile che separa il gioco duro dal gioco sporco. E questa tipologia di giocatore tavolta si porta questo spirito fuori del campo. Green non è un Dennis Rodman sempre ai confini dell'autodistruzione. Ma non è così distante.

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